L’inverno 1982 era molto freddo. Anche ad Imperia dove l’umidità del mare lo moltiplicava, entrando da tutte le fessure. A volte era così intenso che per combattere il freddo Armando Fontana quasi abbracciava la vecchia e insicura stufa a gas. Con una coperta sulle ginocchia e la lettera 22 sul tavolo, Armando Fontana cominciò a scrivere: “Carissima Lydia…”
Quando la funzionaria di polizia Nunzia Alessandra Schilirò dal palco dell’ennesima manifestazione NO-VAX ha parlato di diritto alla disobbedienza civile – riferendosi al green pass – mescolando Gandhi, Gesù Cristo, libertà d’espressione e i “primi partigiani” ho pensato a questa lettera che Armando Fontana, figura centrale nelle riforme democratiche delle forze di polizia degli anni ‘70, mandò a Lydia Franceschi, la madre dello studente ucciso da un poliziotto nel corso di una manifestazione nel 1973.
Per due motivi. Il primo è che se Nunzia Alessandra Schilirò può salire su un palco e parlare di libertà lo deve a quei pochi “sovversivi” che rischiarono tutto per smilitalizzare la polizia.
Il secondo motivo si chiama coerenza. Scriveva in quel freddo inverno del 1982 Armando Fontana: «Mi sono battuto per molti anni per cambiare la struttura e il modo di agire del poliziotto italiano, molto cammino è stato percorso e qualcosa è cambiato ma più alla base che al vertice dell’amministrazione. Sono e rimango del parere che se non avremo in avvenire il coraggio di ammettere e di riconoscere di avere sbagliato, di non essere pronti a pagare di fronte alla legge le nostre colpe, di continuare ad avere la paura di denunciare comportamenti che non fanno onore al compito che svolgiamo, possiamo sconfiggere mafia e terrorismo, arrestare ladri e rapinatori, sequestratori, spacciatori di droghe e liberare dieci generali Dozier, ma nel momento in cui ci comportiamo come abbiamo fatto per Roberto Franceschi, Francesco Loiacono, Giorgiana Masi, ecc. ecc., tutti i nostri meriti finiscono in un secchio della spazzatura».
La domanda è: gentile vicequestore Schilirò la libertà di disobbedienza che invoca sul green pass l’ha usata anche per tutti gli “sbagli” di cui parlava il vecchio sindacalista della polizia, uno che ha rischiato sanzioni disciplinari e il licenziamento per ottenere la riforma del 1981?
Quando i suoi colleghi caricano gli operai in presidio o fanno picchetto per impedire alle cooperative fasulle di far uscire le merci lei ha invocato la libertà di disobbedire agli ordini? Quando vent’anni fa i suoi colleghi hanno massacrato innocenti a Genova lei ha preso parola per dissociarsi? Seppur tardivamente un suo parigrado, il vicequestore Michelangelo Fournier, parlò di “macelleria messicana”…
Ho sentito che, infervorandosi, ha spiegato che «nessun diritto può essere subordinato al possesso di un certificato» si riferiva esclusivamente al green pass o denunciava l’assurdità delle leggi contro gli immigrati e i sans papier?
O più recentemente, quando i manifestanti che sabato l’hanno applaudita, sono andati a minacciare (alcune volte a pestare) i giornalisti che seguivano i cortei NO-VAX si è dissociata da questi comportamenti? Persone come Armando Fontana ci hanno insegnato che vestire una divisa è servire la Costituzione. Hanno pagato per la loro coerenza, per dimostrare che i diritti valgono per tutti o non sono diritti, che non si può gioire quando manganellano i tuoi nemici e incazzarsi quando toccano i tuoi amici. Spero lo abbia fatto e lo faccia anche lei, vicequestore Nunzia Alessandra Schilirò.