A Ivano Fossati, che compie settant’anni, dobbiamo alcune delle opere più belle mai apparse nel panorama musicale italiano. Una lirica significativa, una poesia potente e talvolta tendente all’invettiva ma senza mai perdere il suo tratto di umanità, di naturale gentilezza, quell’inclinazione alla dolcezza malinconica che è propria del personaggio.
Possiamo dire che i sette decenni di vita di Fossati siano stati una straordinaria canzone popolare, in attesa che torni ad alzarsi il vento e che le masse tornino a credere almeno un po’ in se stesse. Più difficile che tornino a credere in qualcosa, ma questa è un’altra storia.
Da dieci anni ha dato l’addio alle scene, preferendo la dimensione privata a quella pubblica, eppure non ha mai smesso di dispensare meraviglia. La sua è una presenza costante e che non ci abbandona mai, una compagna di viaggio che ci portiamo dietro anche in questo tempo di nostalgie, amarezze e disillusioni. A Fossati ci lega, ad esempio, il ricordo della campagna ulivista del ’96, quando speravamo davvero di poter cambiare l’Italia nel profondo, prima che la deriva blairiana prendesse il sopravvento e che il centro-sinistra si rivelasse, nel complesso, un’atroce delusione. Non a caso, anche Fossati, politicamente parlando, è diventato estremamente critico, smettendo progressivamente di credere nella rappresentanza tradizionale e finendo con l’abbracciare il movimentismo di Grillo, se non altro per provare a mantener fede agli ideali di gioventù e non rinunciare ai propri sogni. Il che denota una personalità poliedrica, una passione politica accesa, un interesse vivo per le cose del mondo, una capacità di ribellione sempre presente e una tradizione artistica all’insegna della partecipazione e dell’impegno civile.
Mai disinteressato, mai acritico, sempre militante nel senso migliore del termine, uomo innamorato del mondo e della sua complessità, Fossati ha saputo esplorare diversi generi, comprendere le fasi storiche, rivoluzionare il panorama artistico, anticipare le tendenze, remare, quando necessario, e spesso lo è stato, in direzione ostinata e contraria e usare la sua bellezza interiore come sferza per tentare di agevolare il cambiamento che riteneva necessario. Come tutti i sognatori e gli utopisti, molte volte ha perso. Fatto sta che se ancora oggi intere generazioni ne cantano le canzoni e questa storia si tramanda di padre in figlio è perché quegli ideali di gioventù sono comunque vivi nella maggior parte di noi e ne avvertiamo disperatamente il bisogno. E allora auguri di cuore a un volatore che non si è mai rassegnato all’idea di dover chiudere le ali.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21