” Il vero problema sono le cause temerarie, intentate al solo scopo di intimidire i giornali e i giornalisti. Ci vorrebbe una legge per sanzionare questo abuso”. La frase di chirurgica precisione e chiarezza inimitabile è del maestro Antonio Padellaro, il giornalista che io, certamente insieme a molti altri, vorrei essere. Il suo pezzo sullo speciale Millennium di settembre dedicato all’informazione spiega in modo lineare e feroce cosa sono diventate le azioni legali contro i giornalisti italiani. Un bavaglio. Prima di questo articolo lo avevano già detto i vertici della Fnsi. Beppe Giulietti e Raffaele Lorusso ogni santo giorno inseguono gli effetti perversi delle querele temerarie, consolano colleghi piangenti, incontrano avvocati, partecipano ad incontri con parlamentari che promettono modifiche legislative e poi non lo fanno, si appellano al buon cuore di giornalisti che siedono sugli scranni parlamentari e non incidono su quella benedetta-maledetta legge di riforma che dovrebbe perequare (perlomeno) la posizione del giornalista a quella dell’autore dell’azione legale infondata. Poi, comunque, si va avanti come nulla fosse, nella consapevolezza che l’informazione in Italia non è una priorità e se lo fosse avremmo un problema aggiuntivo, poiché essa porterebbe ancor più a galla i nostri altri problemoni. Cioè: corruzione, evasione fiscale e mafia. Per questo quando 48 ore fa Ursula Von der Leyen ha detto che “l’informazione è un bene pubblico e che l’Europa ha bisogno di una legge che ne garantisca l’indipendenza” gli occhi di centinaia di noi, cronisti inseguiti dalle querele temerarie, si sono accesi di speranza. Che sia la volta buona? L’Europa, in fondo, ci guarda. Sa che abbiamo un problema chiamato “agibilità dell’informazione”. Sa che ci sono le azioni che contrastano una narrazione completa della cronaca di questo paese e che essa è condizionata dal potere esercitato con azioni giudiziarie attuate e annunciate da grandi gruppi di pressione. Il monitoraggio sulla condizione dei giornalisti in Europa riguarda l’Italia per un capitolo troppo ampio e pericoloso. Oltre venti giornalisti sotto scorta, decine con tutela temporanea, centinaia denunciati solo perché stiano in silenzio non sono una cosa normale in un Paese normale. Ed è ancora più anomalo che debba essere il capo amministrativo dell’Europa a ricordarci l’urgenza di un’adeguata protezione dell’informazione in quanto bene pubblico e che la stessa frase non si sia ancora sentita con pari passione da rappresentanti del Governo italiano. I quali certamente conoscono l’argomento essendo molti politici, ex ministri e altissime cariche della nostra burocrazia tra gli autori eccellenti di azioni legali infondate. Sarà il “codice Ursula” o sarà la “lezione di Antonio” ma questo scorcio di inizio autunno porta un barlume di luce.