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“Francesco si dimette? No, smaschera la crisi della secolarizzazione”

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Forse merita di tornare un attimo sulla grande discussione relativa alle presunte dimissioni che Papa Francesco avrebbe avuto in animo di dare. Per due motivi. Il primo è logico. In questa discussione qualcuno si è occupato della sua compatibilità con la pandemia? Si poteva davvero presumere che nei prossimi mesi la Chiesa cattolica scegliesse di organizzare un conclave che richiederebbe la convocazione a Roma di cardinali da tutto il mondo? Se anche la voce fosse stata ritenuta verosimile porsi almeno questa domanda non sarebbe stato logico? Dalla risposta che si dà a questa domanda dipende la necessità di porsene un’altra? C’era forse l’urgenza di raffigurare un papa gravemente malato? Già una volta si speculò sulla salute di Francesco, quando si concludeva il sinodo sulla famiglia. Può essere fondato il sospetto che, sembra dall’Argentina, qualcuno  intendesse far filtrare l’idea di una malattia che non c’è? Come è noto Francesco è ’ stato operato e la fonte più trasparente sulla sua salute è anche questa volta lui stesso.

Di certo la salute dei papi è stata da sempre oggetto di illazioni e leggende. Basterà ricordarsi di Giovanni Paolo I e della sua improvvisa scomparsa, accompagnata da voci tanto infondate quanto diffuse su intrighi e peggio ancora. Anche la malattia di Giovanni Paolo II ha visto tanti sussurrare. Ma con Francesco si è fatto un salto di qualità. Dalla malattia inventata, con tanto di diffusione di una diagnosi tanto proibita quanto falsa, si è arrivati alla discussione su possibili dimissioni dopo un intervento chirurgico che comunque nate hanno di nuovo il sapore della leggenda creata per destabilizzare. Prima che fosse ancora lui a intervenire per dire che intervento fosse stato ma anche che a dimettersi non ci pensa proprio, l’esercizio di stile su cosa lascerebbe non poteva mancare. E quindi la tesi della crisi, delle divisioni è emersa.

Proviamo allora a immaginare un confronto con il grande nemico di questa Chiesa in crisi. Come sta la secolarizzazione? Il suo cavallo di battaglia è l’individualismo, trionfante. Sta bene l’individualismo? Un individualismo che arriva a contestare la vaccinazione come rimedio alla malattia è un individualismo forte è un individualismo debole? E’ un individualismo così liquido da non sopportare neanche una puntura d’ago. E’ questa la cultura dominante? O Francesco con il suo “nessuno si salva da solo” non ha aiutato la Chiesa e la società tutta a ricercare una bussola fuori dall’individualismo? La Chiesa in uscita ha dimostrato di potersi riconnettere con la cultura che oggi si dimostra dominante nella responsabilità e nell’apertura alla vita, o no? Possiamo pensare di uscire ognuno dal suo incubo pandemico con il nazionalismo? O non è ormai indispensabile ragionare in termini nuovi?

Un altro confronto interessante è quello con un altro campo, quello del liberismo economico, spina nel fianco della Chiesa in uscita. Sta bene il liberismo? E’ un cavallo sul quale scommettere per il nostro futuro, o non dimostra anche con i più gravi accadimenti internazionali di questi giorni che un’altra economia è indispensabile?

C’è ancora un altro termine di confronto importante. Se la misura di benessere di una fede è data dall’affollamento di certi luoghi di culto dovremmo concludere che l’islam sta bene. E’ una fede cresciuta negli ultimi tempi in modo esponenziale. Dunque è impossibile non chiedersi: sta bene l’islam? O non si avverte il rischio che tante volte quella fede sia in realtà trasformata in ideologia antagonista?

Insomma il dibattito su Francesco e le sue inventate intenzioni di lasciare dovrebbero farci trovare davanti a tutt’altra questione: cosa più o meglio dell’idea di Chiesa in uscita risponde alle esigenze del nostro tempo? Quale proposta culturale è più forte e vincente per le società che si confrontano con essa? Abbiamo sete di guerre culturali? Abbiamo sete di questioni ideologiche divisive da affrontare con le armi in pugno? O non abbiamo bisogno di un nuovo dialogo sociale tra chi soffre e chi non vuole curarlo, tra chi desidera e chi non vuole ascoltarlo, tra chi guarda e chi non vuole vedere?

Si dice spesso che la Chiesa di Francesco è disunita, il suo timoniere zigzagante. A me sembra che tra mille resistenze la Chiesa in uscita di Francesco faccia emergere che la secolarizzazione non è libertà di fare come vogliamo, ma riprova che non sappiamo più cosa fare e ci rifugiamo nell’individualismo, nel consumismo, nell’eliminazione della cittadinanza. La discussione di questi giorni avrebbe dovuto essere questa a mio avviso: cos’altro c’è di nuovo e vivo nel nostro mondo scosso da devastazioni politiche, sanitarie, economiche e culturali oltre la Chiesa in uscita? Francesco non ha un progetto, ma ha un pensiero. Nel suo pensiero il tempo è superiore allo spazio, cioè conta avviare processi, non occupare poltrone, il tutto è superiore alla parte, cioè il bene comune ci richiede sacrifici e comporta tutele, l’unità è superiore al conflitto, cioè non si governa contro, ma con. Il tempo saprà dirci se questi sono sogni, per il momento a me sembra che negarne la forza indispensabile è un incubo. Ma se nessuno più dice che un altro mondo è possibile, chi potrà pensare che ci salveremo dall’individualismo disperato del “si salvi chi può”?


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