Qualcuno dice che si tratta di casi fisiologici, perché in fondo essere bracciante significa fare un lavoro “che per forza di cose è irregolare e pericoloso” e che per questo non bisogna esagerare. Qualcun altro dice che chi si occupa di questi temi raccogliendo e studiando storie di sfruttamento, casi specifici e fenomeni strutturali è solo un “professionista delle agromafie” oppure che è “in cerca di premi”. Forse sì, avete ragione voi.
Eppure ieri mattina presso l’ospedale Santa Maria Goretti di Latina un bracciante italiano, dopo alcuni giorni di agonia, è morto, dopo essere caduto da sopra una serra, dentro un’azienda agricola nelle campagne di San Felice Circeo.
L’anno scorso accadde lo stesso. Solo che erano indiani. Poco comunque cambia. Sempre di lavoratori, di infortuni e di morti sul lavoro si tratta.
Ora io non so se sono un cercatore di premi, di clamore, un “professionista delle agromafie”, etc. So solo che sul posto di lavoro e in particolare nelle nostre campagne, si muore. E a morire sono i lavoratori, in questo caso braccianti italiani e migranti.
Io non so chi ha ragione ma non credo di avere torto se chiedo il rigoroso rispetto delle regole contrattuali, di quelle contro gli incidenti e infortuni sul lavoro e maggiori controlli. Non credo si tratti di ricerca di clamore. Credo sia ricerca di giustizia. E non è la stessa cosa. Poi, voi che sapete meglio di tutti come funzionano davvero le cose in questo mondo, fate, dite e scrivete pure quello che volete.
La mia massima solidarietà alla famiglia del lavoratore deceduto.
Ps: se fossimo seri dovremmo scendere in piazza tutti insieme per chiedere giustizia, legalità e sicurezza (quella vera). Ma siamo agli ultimi giorni d’estate e a questo sole così dolce forse è meglio non rinunciare.