L’Afghanistan è al collasso. La conquista di Kabul e della roccaforte del Panjshir ha sancito la vittoria dei talebani e la fuga di migliaia di persone, in cerca di salvezza da una crisi umanitaria sempre più grave.
A pagare lo scotto della situazione è la popolazione più povera, ormai allo stremo. L’arrivo dei talebani si somma all’epidemia da COVID-19 e ad una grave siccità che ha colpito il paese, impoverendo ancora di più la già fragile agricoltura; si calcola che circa 14 milioni di persone , un afghano su tre, sta già vivendo un’elevata insicurezza alimentare acuta.
Per questo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) resta sul campo in Afghanistan. Circa il 70 per cento degli afghani vive in aree rurali e dipendendo dall’agricoltura per il proprio sostentamento e la sicurezza alimentare. Oltre la metà dell’apporto calorico giornaliero medio di un afgano proviene dal grano, la maggior parte del quale è coltivato a livello nazionale.
Nonostante la difficoltà del momento, il 13 settembre scorso la una squadra internazionale di esperti è tornata a Kabul, nella preesistente base, per continuare a fornire assistenza umanitaria urgente, in linea con i principi umanitari fondamentali di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza,che sono da sempre alla base dell’azione perseguita dalla FAO.
Alla fine di agosto, la FAO aveva sostenuto direttamente quasi 2 milioni di persone in 28 province dell’Afghanistan, ora si lavora per per raggiungere altri 1,7 milioni di persone nei prossimi tre mesi. Nonostante l’attuale situazione politica, la FAO è stata in grado di continuare le operazioni in 28 delle 31 province in cui opera e mira a fornire sostegno a più di un milione di persone nelle famiglie di agricoltori e allevatori nelle prossime settimane.
Durante una riunione sulla situazione umanitaria in Afghanistan convocata dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres a Ginevra, il Direttore Generale della FAO, QU Dongyu, ha chiesto assistenza urgente per salvare il prossimo raccolto di grano dell’Afghanistan, mantenere in vita gli animali da allevamento ed evitare un deterioramento della già grave crisi del Paese, affermando che ” Un sostegno agricolo urgente ora è la chiave per contrastare l’impatto della siccità e il peggioramento della situazione nelle vaste aree rurali dell’Afghanistan nelle settimane e nei mesi a venire “. Il fine è di mantenere gli agricoltori nei loro campi e di aiutare i proprietari di bestiame a mantenere le loro mandrie, per prevenire una crisi più profonda con un aumento sempre crescente dei bisogni umanitari.
Senza un sostegno urgente, agricoltori e pastori potrebbero perdere i loro mezzi di sussistenza ed essere costretti a lasciare le aree rurali, aggiungendo ulteriore pressione alle aree urbane e periurbane in quanto sfollati interni (IDP). I costi dell’assistenza agli sfollati interni sono molto più elevati rispetto all’assistenza nel luogo di origine. Ad esempio, con meno di 150 dollari, un pacchetto di semi di grano invernale con fertilizzante, semi certificati e formazione, può produrre cibo sufficiente per coprire le esigenze di una famiglia per un anno.
In un’intervista pubblicata il 2 settembre scorso da “La Repubblica” il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha chiesto all’Italia di riaprire l’ambasciata a Kabul e di riconoscere il governo islamico, al fine di evitare una crisi economica ancora peggiore. Nonostante sia un paese strategico e ricco di risorse naturali, l’Afghanistan è uno dei paesi più poveri del mondo, con una delle crisi umanitarie più complesse, in cui da quarant’anni si susseguono conflitti armati che hanno portato la fragile economia al collasso.
La comunità internazionale si deve adoperare affinché la crisi umanitaria non si trasformi in una vera e propria catastrofe.