Non sembrano passati 20 anni. Chi c’era quel giorno,11 settembre 2001, ricorda come fosse ieri quell’attacco al cuore dell’America e l’emozione è ancora viva. Chi ha perso un familiare caro nel crollo delle Torri e non ha riavuto neppure un brandello del suo corpo prova un dolore immutato. Chi è nato dopo quella tragedia è cresciuto in un mondo cambiato, dando per scontata la convivenza con il terrorismo, i controlli, gli attacchi che vanno e vengono in giro per il mondo. In questi due decenni ce lo siamo detti tante volte, le nostre vite sono cambiate dopo quell’attentato, di sicuro in peggio. La guerra al terrorismo, lanciata dal presidente Bush per vendicare la ferita inferta agli Stati Uniti, non ha riportato la pace, la paura per le azioni degli integralisti non si è sopita e rende il futuro molto incerto.
Non è un anniversario qualunque e non è un caso che gli studenti coranici abbiamo deciso di far giurare il governo provvisorio proprio l’11 settembre. Una data simbolica per celebrare la loro vittoria e la nostra sconfitta. Il ritorno al potere dei talebani a Kabul ci riguarda e non dovrebbe farci dormire sonni tranquilli. Rivederli entrare trionfanti nel palazzo presidenziale dal quale erano scappati a novembre 2001 dopo un mese di bombardamenti americani sull’Afghanistan, guardare di nuovo la bandiera del loro emirato issata sui palazzi delle istituzioni, mi ha riempito l’animo di angoscia e mi ha fatto venire i brividi. Li avevo conosciuti quando comandavano nel paese che moriva di fame, in una Kabul ridotta in macerie; li avevo visti scappare insieme ai loro amici di Al Qaida guidati da Bin Laden, speravo che qualcuno fermasse la loro avanzata, che aveva avuto un’accelerata subito dopo l’annuncio del ritiro dei soldati americani. Sono stati fatti tanti gli errori in questi 20 anni, molti commessi proprio dagli americani che hanno avuto da sempre un rapporto contraddittorio con i talebani.
Sono lontani i tempi in cui li ricevevano a Washington per trattare sugli oleodotti che sarebbero dovuti passare sul territorio afghano, ma sono molto recenti i tempi delle trattative dissennate condotte a Doha in Qatar, che hanno portato all’accordo siglato dall’amministrazione Trump sul ritorno a casa dei soldati internazionali, con l’unica condizione che non venisse torto un capello alle truppe Usa e Nato. La nostra incolumità in cambio di quella degli afghani e delle afghane. Da terroristi ricercati e inseriti nelle liste nere di FBI e Cia i talebani sono diventati interlocutori legittimati dallo stesso governo degli Stati Uniti che sulla testa dell’attuale ministro dell’interno afghano Sirajuddin Haqqani aveva posto una taglia da 10 milioni di dollari. Bene, ora sa dove trovarlo. Gli anniversari servono per ricordare e commemorare. Vanno ricordati i tanti soldati morti, ma anche gli oltre 47 mila civili uccisi nei combattimenti, tante donne e bambini innocenti. Gli anniversari però sono anche l’occasione per ripensare agli errori commessi per evitare che si ripetano. Il conto aperto di Bush con Saddam è stato di sicuro un altro degli errori americani, che ha contribuito ad alimentare instabilità e terrorismo. L’idea di esportare la democrazia con la forza, a costo anche di costruire prove false sull’esistenza di armi di distruzione di massa, è una macchia nella storia degli Stati Uniti. Ragionare sugli errori, aiuta a non ripeterli, soprattutto in una fase delicata come questa dove un nuovo ordine geopolitico si sta delineando in Asia Centrale. Abbandonare l’Afghanistan al suo destino, come era già accaduto in passato lasciandolo nelle mani delle potenze regionali in competizione tra loro, non ci conviene. Cina Russia India e Iran hanno tutto l’interesse ad avere un Afghanistan stabile, ma potrebbero persino avere un vantaggio in un Afghanistan rifugio di terroristi compiacenti. Il paradosso è che i talebani oggi rischiano di apparire il male minore
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