Ventotene e il destino dell’Europa

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Il discorso di Sergio Mattarella a Ventotene, in occasione dell’ottantesimo anniversario della redazione del celebre Manifesto, spunto essenziale per la nostra Costituzione e carta valoriale dell’Europa che purtroppo non abbiamo ancora costruito, ci offre la possibilità di riflettere su come eravamo e su cosa siamo diventati.

Il pensiero visionario di Rossi, Spinelli e Colorni, il loro amore per un’idea di sovranità più ampia, extranazionale e in grado di schiudere nuovi orizzonti furono i principî che animarono la classe dirigente europea del dopoguerra, fino alla firma dei Trattati di Roma che istituirono la CEE nel 1957. Del resto  già De Gasperi, riprendendo in chiave cattolica il pensiero liberale di Mazzini, nei giorni in cui infuriava il primo conflitto mondiale, auspicava una maggiore integrazione del Vecchio Continente. A quegli uomini e al loro coraggio dobbiamo i sette decenni, quasi otto, di pace che ne sono derivati. E oggi? Cos’è oggi l’Europa? Ha perfettamente ragione Mattarella quando mette in evidenza la miopia di quegli esponenti politici che si ostinano a rifiutare l’accoglienza dei profughi, issando la bandiera del razzismo, della discriminazione e della chiusura ingiustificata al fine di solleticare la pancia delle frange più estreme dell’elettorato. Come ha ragione a sostenere che o sapremo accogliere, dopo vent’anni di guerra, le sicure vittime del ritorno dei Talebani o avremo, di fatto, fallito la nostra missione storica. Il guaio è che Mattarella è ormai un presidente a fine mandato e che, con ogni probabilità, salvo miracoli, lo rimpiangeremo non poco in futuro, date le prospettive da incubo che si schiudono davanti a noi. Basti pensare a quali sono i due principali partiti del nostro Paese, in ottimi rapporti con un soggetto come il premier ungherese Orbán, e basti pensare a cosa sta accadendo in tutto il resto d’Europa, dove il fascismo e i suoi miasmi sono tornati d’attualità, se non proprio in posizioni di comando. Basti pensare alla Germania, che nel dopo Merkel dovrà fronteggiare l’avanzata di Alternative für Deutschland, o alla Francia, dove la Le Pen rimane alta nei sondaggi. Per non parlare poi degli spagnoli di VOX, di ciò che sta accadendo in Polonia, della miseria morale che regna in buona parte delle classi dirigenti dei paesi dell’Est e del contagio sovranista che sta colpendo l’intero Occidente.

La crisi afghana, ce lo siamo già detto, è la cartina al tornasole del nostro tracollo, l’evidenza della nostra disfatta culturale, prim’ancora che politica, il deserto di valori in cui ci siamo spinti vent’anni fa e dal quale adesso non sappiamo più come uscire.

Sergio Mattarella, con parole chiare e inequivocabili, ha indicato una strada che difficilmente sarà percorsa: per via delle scadenze elettorali ma anche perché l’egoismo ormai regna sovrano pressoché ovunque, e non è che a sinistra ci sia poi tutto questo afflato umanitario nei confronti dei rifugiati. Fatto sta che uno dei capisaldi del Manifesto di Ventotene è proprio la solidarietà, virtù ormai considerata appannaggio degli illusi, irrisa dai cinici, accantonata da molti e riposta in soffitta anche da alcune delle forze politiche che dovrebbero, invece, farne il proprio vessillo.

Nelle parole del Presidente è racchiuso un richiamo alla responsabilità che, purtroppo, abbiamo smarrito. Saper ammettere le proprie colpe, sapersi fare carico dei propri errori, sapersi prender cura del prossimo sono tutte azioni che non ci appartengono più. Appartengono a quel Dio d’Avvento più volte invocato da papa Francesco, a quell’autentico spirito evangelico in cui anche il Capo dello Stato si riconosce pienamente ma non siamo più capaci, per la maggior parte, di essere davvero umani. Abbiamo perso la virtù della pietà o, per meglio dire, abbiamo ritenuto di poterne fare a meno. Anche per questo, ottant’anni dopo, faremmo bene a lasciar perdere l’ipocrisia e a prendere atto che del Manifesto di Ventotene non è rimasto nulla, se non qualche citazione di comodo che serve ai soliti noti ad apparire per ciò che non sono realmente. Resta da chiedersi se esista ancora una parvenza d’Europa o se non sia altro, ormai, che un’espressione geografica. Osservando come stiamo gestendo la crisi afghana, la risposta sembra essere scontata.


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