Il Tribunale di Modena ha disposto la piena legittimità del provvedimento assunto da una cooperativa emiliana di sospendere dalla mansione e dalla retribuzione due operatrici di una RSA, che avevano rifiutato di sottoporsi alla vaccinazione contro il Covid-19. Il caso in esame fissa l’obbligo vaccinale per il personale sanitario come una misura legittima, che si inanella in un quadro giurisprudenziale che sembra consolidarsi ed alimentare il divario con i no vax.
L’ordinanza n. 2467 del 23 luglio 2021 ha considerato che, ai sensi del D. Lgs n. 81/2008, il datore di lavoro si colloca «come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali e ha quindi l’obbligo ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile di adottare tutte le misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori».
Il diniego alla vaccinazione sebbene non comporti l’adozione di misure di natura disciplinare, può cagionare tout court motivo di inidoneità allo svolgimento di determinate mansioni, specie in ambito socio-sanitario ed assistenziale ed in ragione della crisi pandemica che si sta attraversando. A tal proposito è dirimente la valutazione del medico competente riguardo alla mansione svolta dal dipendente, specie se prestata ad anziani e soggetti vulnerabili. Il datore di lavoro, ove ne ricorrano le condizioni organizzative, avrebbe la possibilità di impiegare il personale sanitario in una diversa posizione lavorativa e quindi distante da altri dipendenti o terzi. Laddove questa ipotesi non fosse percorribile, è considerato legittimo il provvedimento dell’ente datoriale che procede alla sospensione dei lavoratori, senza la corresponsione di alcuna retribuzione.
Quanto disposto dal Tribunale di Modena evidenzia in termini generali <<l’obbligo da parte del datore di lavoro di adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori>>.
Il SARSCoV-2 è classificato infatti come agente patogeno per l’uomo del gruppo di rischio 3) ai sensi dell’art. 267, D. Lgs. n. 81/2008 (cd. “TUSL – Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro”), ovvero la categoria che “comprende microrganismi patogeni che possono causare malattie nell’uomo e costituire un serio rischio per i lavoratori; possono propagarsi nella comunità ma, di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche”.
E’ da rilevarsi inoltre che la direttiva Ue 2020/739 del 3 giugno 2020 abbia inserito il Covid-19 tra gli agenti biologici da cui è obbligatoria la protezione anche negli ambienti di lavoro. Pertanto, è tra i doveri di protezione e sicurezza sui luoghi di lavoro, imposti dal D. Lgs. 81/2008 e dal D. Lgs. 231/01, quello di salvaguardare i lavoratori da agenti di rischio esterni, non essendo sufficienti i dispositivi di protezione personale per scongiurare effettivamente il pericolo di contagi. Il caso delle due ricorrenti non trova conforto neanche nell’invocata violazione del diritto alla privacy, dal momento che il datore di lavoro non è tenuto a dare al lavoratore ulteriori approfondimenti su pro e contra della vaccinazione, trattandosi di informazioni ampiamente rese note.
Il diritto alla libertà di autodeterminazione, motiva l’ordinanza menzionata, deve essere bilanciato con altri diritti di rilievo costituzionale come la salute degli assistiti, degli altri dipendenti e il principio di libera iniziativa economica sancito dalla Costituzione (art. 41).
Il principio di solidarietà collettiva grava pertanto su tutti i soggetti, dipendenti inclusi, e rende legittima la scelta del datore di lavoro di allontanare momentaneamente il lavoratore che non intenda vaccinarsi, sospendendone la retribuzione, senza tuttavia essere occasione per ritorsioni o altri provvedimenti.
Sulla stessa scia giurisprudenziale, il Tribunale di Roma e da ultimo il Tribunale di Terni, le cui pronunce incidono su fattispecie analoghe e che riguardano lavoratori che non hanno prestato il proprio consenso alla somministrazione del vaccino, dichiarandosi contrari ad un trattamento sanitario ancora non pienamente supportato da evidenze scientifiche. Il disposto del Tribunale di Terni ha sottolineato, in particolare, ai sensi dell’art. 20 D. Lgs. 81/01 i <<precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui il soggetto entra in contatto>>. Al dipendente è imposto quindi «l’obbligo di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni od omissioni», oltre che <<di osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro>>. Secondo il dispositivo è <<prevalente, sulla libertà di chi non intenda sottoporsi a vaccinazione contro il Covid-19, il diritto alla salute dei soggetti fragili che entrano in contatto con gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, in quanto bisognosi di cure, e, più in generale, il diritto alla salute della collettività>>.
Proprio per contenere le pesanti conseguenze che il virus può comportare per le categorie più fragili, il provvedimento mette in luce l’impegno delle Regioni, nel caso de quo della Regione Umbria, di promuovere da gennaio 2021 <<una campagna di vaccinazione di massa del personale socio-sanitario e, segnatamente, dei soggetti che operano all’interno delle case di cura e di riposo o, in generale, che prestano assistenza ai disabili e/o agli anziani. Non può poi non evidenziarsi che l’Istituto Superiore di Sanità ha più volte chiarito nelle linee guida come la vaccinazione, benché non azzeri né il rischio di contrazione della malattia né il rischio della sua trasmissione, tuttavia diminuisca entrambi gli eventi avversi, avendo evidenziato come gli studi clinici condotti finora hanno permesso di dimostrare l’efficacia dei vaccini nella prevenzione delle forme clinicamente manifeste di Covid-19, anche se la protezione, come per molti altri vaccini, non è del 100% […]. Sulla base degli studi scientifici attuali – considera il Tribunale di Terni – la vaccinazione è efficace ai fini dell’abbattimento del rischio di contagio per sé e per il prossimo e l’imposizione di un obbligo in tal senso nello specifico settore sanitario, alla luce del contemperamento fra l’interesse individuale alla libera scelta vaccinale e l’interesse collettivo alla salute pubblica, non è irragionevole>>.
*Avvocato strutture socio-sanitarie A.R.I.S.