Simenon in valigia: La mano e Pedigree

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Leggere Simenon è per me un vero piacere che mi concedo di tanto in tanto dato che affrontare la vasta opera completa sarebbe una vera impresa. Quest’anno nella valigia delle vacanze ho infilato due libri dell’autore, di periodi differenti e molto diversi tra loro. Uno è l’ultimo ripubblicato da Adelphi: Georges Simenon, La mano, 2021. E’ un libro pubblicato per la prima volta nel 1968, quando l’autore era tornato da molti anni ormai dal suo soggiorno in America, ma i ricordi dei paesaggi, degli ambienti e della società americana erano certamente vividi in lui.

La storia è ambientata in una piccola cittadina del Connecticut, Brentwood, è inverno, un gennaio glaciale, con una nevicata eccezionale che crea una straordinaria emergenza per i personaggi. Simenon, che nei romanzi di ambientazione francese o belga ricordiamo abile nel descrivere la piccola borghesia, una folla di bottegai, piccoli commercianti, artigiani, impiegati, ma anche operai o piccoli imprenditori è altrettanto capace, minuzioso, efficace nella descrizione di questa ricca borghesia delle professioni americana. Donald Dodd, quarantacinque anni, è un affermato avvocato patrimonialista, il suo amico e ospite Ray è un ricchissimo menager di una prestigiosa agenzia pubblicitaria di New York; le rispettive mogli sono Isabel di una delle più rispettabili famiglie di Litchfield, discendente dai Clayburne sbarcati dal Mayflower e Mona , ex-attrice. Gli Ashbridges di Boston sono una ricca famiglia che ha una proprietà nella zona e dà un party, il sabato 15 gennaio, prima di partire per il resto dell’inverno per la Florida. Alla festa si reca Dodd con la moglie e la coppia di amici, ospiti per il fine settimana. Alla fine di un tipico party in cui l’alcol è stato protagonista, i quattro devono affrontare l’eccezionale tempesta di neve per ritornare alla casa di Donald. A pochi metri dall’abitazione sono costretti ad abbandonare la macchina e a proseguire a piedi, le due donne avanti, gli uomini dietro, con Donald che cerca di fare luce con una pila ormai quasi scarica; il tragitto è relativamente breve, ma reso difficoltoso dalle circostanze. Alla casa giungono le due donne e poco dopo Donald, ma Ray, che procedeva a poca distanza da lui non c’è. Luce, riscaldamenti, collegamenti telefonici sono saltati: sono isolati. Ma tutto ciò lo apprendiamo dopo, con ordine, dal racconto di Donald, dopo il momento topico con cui inizia il romanzo: la panchina rossa. E’ Donald che racconta, seduto sulla panchina rossa del suo fienile che funge ormai da rimessa e vuole raccontare da giurista con l’abitudine, anzi con la mania della precisione. Donald, poco dopo il rientro in casa, è uscito di nuovo per un disperato tentativo di ritrovare Ray, ma appena fuori dallo sguardo dalla finestra delle due donne, invece di proseguire fino al dirupo dove potrebbe essere precipitato Ray ha deviato verso il fienile, si è seduto sulla panchina rossa e si è acceso una sigaretta. Perché? Mentre sta lì e accende una sigaretta dopo l’altra capisce che qualcosa si è rotto dentro di lui; alla quinta sigaretta si scopre straordinariamente lucido e ritrova un’immagine che per lui ha un’importanza capitale, che avverte come un presentimento , ma su cui avrà poi tutto il tempo di riflettere e condizionerà gli eventi successivi. Durante il party a un certo punto è salito al primo piano come altri prima e dopo di lui e ha aperto e subito richiuso la porta di un bagno, ma ha fatto in tempo a vedere il suo amico Ray che faceva l’amore con Patricia. Lei è la terza moglie di Harold Ashbridge, il padrone di casa, ha solo trent’anni, è molto bella, ma a differenza di sua moglie Isabel, che pur potrebbe ritenersi una bella donna, Patricia lo fa sempre pensare a una camera da letto, come del resto Mona. Da quella immagine e da altre parte la sua intenzione, lì sulla panchina e nei giorni seguenti, di fare un inventario di ciò che è successo e della sua vita con la determinazione ad andare fino infondo “costi quel che costi e qualsiasi cosa scopra”.

Da quel momento dunque rileggerà tutta la sua vita, il suo rapporto col lavoro, con la famiglia, con la moglie Isabel. Sotto lo sguardo ora curioso, ora interrogativo, sempre vigile e indagatore di Isabel avviene la trasformazione di Donald, che dapprima pensa che tutto in apparenza possa restare uguale. Un giorno ritorna a Torrington per rivedere il padre, la casa dove è cresciuto, in realtà per misurarsi con la sua giovinezza. Ripensa alla madre, nel suo eterno grembiulino a quadretti, una casalinga tutta dedita alla famiglia, ma una donna fredda che non lo baciava, gli porgeva invece la fronte, come Isabel gli porge la guancia. Incontra il padre, una bella figura di ultraottantenne che continua a dirigere il suo giornale da un ufficio a vetrate, trasparenti come la sua coscienza, un giornale che per anni ha combattuto contro le ingiustizie e che lui continua a dirigere con lo stessa fede anche se adesso pubblica soltanto notizie locali di scarsa importanza, ma ci mette lo stesso impegno che se stesse combattendo per una grande causa, come avrebbe fatto il fratello di Donald se non fosse caduto al fronte. “E non è forse, con qualche piccola differenza, quello che ho fatto anch’io, finché non ho acceso la prima sigaretta seduto sulla panchina del fienile?” si domanda Donald. Ha riesaminato la sua giovinezza, era stato uno studente brillante a Yale, più capace di Ray, ma non aveva avuto il coraggio di andare a New York come Ray che era diventato molto più ricco e si era preso una donna come Mona, una “vera femmina”. Lui in fondo era rimasto un boy scout, era passato dallo sguardo che lo controllava di sua madre a quello di Isabel “il testimone benevolo che con un’occhiata mi facesse capire che mi mantenevo sulla retta via. Tutto questo era crollato in una notte”. Aveva cercato una vita pacifica, facendo finta per diciassette anni, ebbene quella pace non l’aveva trovata.

Simenon avrebbe voluto intitolare il libro “The Man on the Bench in the Barn”, ma poi si scelse La mano, altra forte immagine del libro che ritorna più volte come simbolo del desiderio sessuale di Donald, il desiderio per Mona, di cui non è innamorato e che desidera fortemente: “Volevo prendere una femmina, così, una botta e via, e per me Mona era una vera femmina”. Donald sentirà il bisogno di una ribellione intenzionale, assoluta, le cose non potranno rimanere come prima, come aveva pensato in un primo momento. Lo sguardo di Isabel diventerà sempre più il segno dell’oppressione di tutta una vita, dell’umiltà che si era imposto. Donald vive un dramma psicologico che lo porterà a cercare di riprendersi almeno in parte ciò che nella vita si era negato, fino al finale mai scontato. C’è a un certo punto un senso di fatalità, di quando la vita sfugge di mano, i fili si intrecciano, si ingarbugliano inestricabilmente: vite costruite meticolosamente, che cercano di essere perfette, tuttavia implodono. Riferendosi a Isabel Donald riflette “E mi rendevo conto che in fondo non era colpa sua. E tanto meno mia”.

Il secondo libro in valigia è “Pedigree”. L’ho trovato in una piccola libreria di libri antichi e usati, è un Adelphi del1987, ma il libro, iniziato nel1941 come lettera al figlio, dopo che un medico aveva pronunciato una diagnosi sbagliata che lasciava all’autore due anni di vita, uscì poi come romanzo nel 1948. Il libro viene spesso considerato e indicato come romanzo biografico dell’infanzia dell’autore, visione che Simenon contesta vivamente nella prefazione all’edizione del 1957, presente anche nell’edizione del 1987. Simenon cita un’intervista del 1955 in cui all’intervistatore che lo voleva identificare a tutti i costi con il personaggio centrale di Roger Mamelin rispose : “Nel mio romanzo è tutto vero anche se nulla è esatto”. Precisa che

L’infanzia di Roger Mamelin, il suo ambiente, lo sfondo in cui si muove sono molto vicini alla realtà, come i personaggi che egli osserva”. Contesta i molti che per un particolare hanno creduto di riconoscersi nei personaggi e lo hanno citato in giudizio, rivendicando come scrittore il “privilegio di ricreare in base a materiale composito, mantenendomi più fedele alla verità poetica che alla verità pura e semplice”.

Il libro ha un ritmo lento, molto diverso dall’incalzare di molti romanzi dell’autore e si distende ampiamente per oltre cinquecento pagine restituendoci l’ambiente di Liegi all’inizio del Novecento. Il romanzo sembra assumere il tempo dell’infanzia di Roger, quando per un bambino “le cose esistevano solo finché erano in piena luce, poi ritornavano nel nulla o nel limbo” se una persona se ne andava “o l’ombra invadeva un angolo della camera non c’era più niente”. Ma il tempo resta lento e magico anche quando il mondo si complica ed è possibile seguire le persone col pensiero: “L’universo si allarga, persone e cose cambiano aspetto, nascono alcune certezze e anche qualche inquietudine, il mondo si popola di domande e un alone di chiaroscuro rende i contorni meno rassicuranti, prolunga le prospettive sino all’infinito”.Lento e magico come nella descrizione della festa di S. Nicola e del Natale di Roger bambino, nel bagliore soffuso della città sotto la neve e nelle luci e nei colori vividi delle vetrine come in una stampa di Epinal.

Simenon ci introduce nei quartieri della città, nei mercati, nei caffè, nei magazzini e nelle botteghe traboccanti di merci e di odori diversi, nei primi grandi empori come l’Innovation e il Grand Bazar. All’interno di questi luoghi una moltitudine di personaggi di diverso peso, ma che si incidono nella memoria, come le diverse donne la cui vita è pesantemente condizionata nel matrimonio con mariti oppressivi e prepotenti fino all’episodio della zia Félicie, uccisa dalle botte del marito Coucou. Nello sfondo alcuni eventi politici, la grande manifestazione del primo maggio in città, la minaccia degli anarchici, degli studenti polacchi e russi che vivono alla pensione Mamelin e portano a Liegi la trama delle lotte politiche dei loro paesi. Nel romanzo si fronteggiano la famiglia paterna dei Mamelin e quella materna dei Peters, cui corrispondono caratteri e comportamenti opposti e che vivono in quartieri differenti e persino trovano sepoltura in due diversi cimiteri della città. Di conseguenza opposte appaiono le figure dei genitori; la figura positiva per Roger/Georges è il padre, Désiré, un uomo che possiede l’arte rara di saper apprezzare le piccole gioie quotidiane della vita. La madre, che nel romanzo ha lo pseudonimo di Elise, apparentemente fragile ed eccessivamente emotiva, è in realtà una donna determinata, decisa a sacrificare anche le placide abitudini del marito, trasformando la casa in una pensione, al fine di migliorare le entrate della famiglia e far studiare il figlio. E’ noto che Simenon aveva una preferenza per il padre e un rapporto non facile con la madre, ma per approfondire quest’ultimo aspetto sarà utile la lettura di altri scritti biografici e della “Lettera a mia madre”.

G, Simenon, La mano, Adelphi 2021

G.Simenon, Pedigree, Adelphi 1987

G. Simenon, Lettera a mia madre, Adelphi 1985


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