Che cosa ricorderemo della prima conferenza stampa dei talebani a Kabul? Più che i contenuti, generici e da valutare alla prova dei fatti, credo sostanzialmente due cose:
– Abbiamo finalmente visto il volto dell’uomo con cui noi giornalisti siamo stati in contatto al telefono e, soprattutto, via twitter per anni, Zabihullah il portavoce dei talebani
– I giornalisti afghani che non hanno risparmiato domande vere a personaggi che hanno, letteralmente, potere di vita e di morte, personaggi che da anni uccidono reporter per molto di meno
Hanno chiesto, per esempio, se i talebani dopo tutte le persone che hanno ucciso pensano davvero di poter ottenere il perdono del popolo afghano. Hanno anche fatto una domanda sull’uomo che fino al 5 agosto scorso sedeva sulla sedia dove ieri c’era Zabihullah, il capo dell’ufficio media del governo – Dawa Khan Menapal – ucciso mentre usciva dalla moschea il 6 di agosto, per mano dei talerbani.
Durante il loro governo, negli anni ‘90, i talebani hanno di fatto vietato il giornalismo in un Paese già ridotto in macerie dalla guerra civile. Dopo il 2001 è nata una generazione di giornalisti che ha raccontato il Paese, spesso in maniera critica non solo verso i talebani ma anche verso il governo. Dal 2015 in poi sono stati lasciati soli a gestire gli uffici di corrispondenza di agenzie e grandi network, andati via i corrispondenti assieme alle truppe.
I talebani e l’Isis, almeno dal 2018, hanno eletto i giornalisti a loro bersaglio, l’Afghanistan è il posto più pericoloso al mondo dove fare il lavoro di reporter e adesso lo sarà ancora di più ma non per gli attentati, per i divieti e per le probabili condanne ed esecuzioni.
Nel giorno in cui sono entrati i talebani a Kabul ero in contatto con un noto giornalista afghano, caro amico e attivista per i diritti dei giornalisti. La comunicazione si è interrotta e poi è partito il messaggio che pubblico sopra: devo andare a nascondermi, scusa non posso parlare.
Se vogliamo aiutare l’Afghanistan dobbiamo aiutare i giornalisti afghani. Perchè e come?
– Come:
Contribuiamo alla cassa dell’Afghan Journalist Safety Committee (li conosco personalmente e da anni fanno un lavoro straordinario) ora hanno bisogno di soldi per evacuare giornalisti in pericolo di rappresaglia ma anche per sostenere chi resta e vuole continuare a raccontare il Paese. Per sottoscrivere cliccate qui.
Sosteniamo la campagna dell’International Federation of Journalists, sostenuta a sua volta dalla federazione dei giornalisti europei. La EFJ chiede che l’Unione Europea ampli il programma di visti per proteggere i giornalisti afghani. Qui i dettagli. Mentre qui c’è il link per sottoscrivere.
– Perchè
Nei post precedenti di questo blog e nei miei post sui social, ho spiegato come i talebani non siano cambiati a livello ideologico ma, dopo aver acquisito una credibilità internazionale grazie anche alle trattative di Doha, non faranno l’errore degli anni ‘90, non vogliono essere isolati, hanno bisogno di relazioni e fondi stranieri. Devono quindi essere cauti (sono furbi) e trovare un equilibrio. Solo se avremo sul posto i giornalisti afghani a raccontare potremmo – tutti noi – fare pressione sui nuovi padroni del Paese, sui loro alleati, sui nostri governi, condizionare Kabul. Se mai sarà possibile, ovviamente, ma è un tentativo che va fatto.
In conclusione, una nota personale:
In questi giorni la stampa internazionale si è ricordata dell’esistenza dell’Afghanistan, a breve se ne dimenticherà di nuovo. E’ capitato tante volte in questi oltre quattro decenni di conflitto, ciclicamente. Se la luce non resta sempre accesa e puntata sulle periferie del mondo, l’oscurità le avvolgerà insieme alle nostre coscienze e la situazione non farà altro che peggiorare, a casa nostra e a casa loro.