È il tema di quest’estate 2021. La democrazia, un argomento vasto, complesso, delicato quant’altri mai, su cui da millenni si arrovellano, si confrontano e si scontrano i massimi pensatori mondiali. È tornata d’attualità perché, al cospetto del colossale fallimento dell’Occidente in Afghanistan, ora ci si interroga se abbia senso il concetto di esportazione della medesima o meno. Non ci sono risposte univoche, non è una questione che si possa liquidare con un cinguettio. L’aspetto che balza agli occhi è che l’Occidente non è in grado di esportare alcunché, dato che ha al suo interno innumerevoli problemi, frutto di un lungo logoramento, di una sconfitta epocale, del confronto aspro, e che per ora ci vede soccombere, con le potenze emergenti.
L’Occidente ha fallito in Afghanistan perché ha fallito a casa sua, perché non è stato in grado di difendere, ad esempio, i principî del parlamentarismo, perché si è diretto verso un futurismo tanto insensato quanto devastante, perché ha abbracciato un’ideologia economica, il liberismo selvaggio, figlio dell’aberrazione di Fukuyama sulla “fine della storia”, che ha esautorato gli organismi cardine del sistema democratico.
L’Occidente ha fallito perché oggi è un guscio vuoto, in guerra con se stesso, in cui nessuna forza ha l’autorevolezza per definirsi credibile ed essere creduta da una popolazione che da trent’anni si vede in balia di un arretramento delle proprie condizioni di lavoro e di vita. Ha fallito perché ha scelto di puntare sulla repressione anziché sulla fiducia. Ha fallito perché il securitarismo che ha reso gli aeroporti dei bunker e i rapporti umani pressoché impossibili lo ha spolpato dall’interno. Ha fallito perché non è più la culla dei valori e dei diritti ma una fortezza che innalza fili spinati, si chiude a ogni novità e invecchia drammaticamente, mentre il mondo si riorganizza e pone le basi per fare a meno delle potenze egemoni dell’ultimo mezzo millennio.
L’Occidente ha fallito in Afghanistan, come del resto in Iraq, perché le guerre di Bush altro non sono state che guerre di conquista, conflitti predatori, barbarie prive di ogni disegno politico che non fosse il mero interesse personale di chi ha spinto per ingaggiarle, basate su un profluvio di menzogne, su tutte le famose armi di distruzione di massa di Saddam, che rendono evidente la nostra fragilità.
Cos’è, dunque, oggi la democrazia? Esiste ancora alle nostre latitudini? Il nostro fallimento è credere che ne esista un solo modello e che ogni popolo debba uniformarsi ai nostri standard, umiliando il buonsenso e rendendo impossibile ogni forma di dialogo con chi dovrebbe conformarsi a uno stile di vita che non gli appartiene, rinnegando quel diritto al libero arbitrio che è il presupposto stesso di ogni vera democrazia.
Abbiamo costruito un inferno e lo abbiamo chiamato pace, abbiamo distrutto intere aree del pianeta e abbiamo parlato di “libertà duratura”, abbiamo mentito persino a noi stessi e manomesso il linguaggio, ingiuriando chiunque facesse notare che si stava preparando una destabilizzazione globale di proporzioni aberranti e dalla quale sarebbe stato forse impossibile riprendersi.
E oggi non ci resta che un simulacro di democrazia, mentre si diffondono i miasmi di fascismi vecchi e nuovi e l’Europa continua a tollerare la presenza di governi che ne minano le fondamenta.
I Trump, gli Orbán, le numerose derive cui abbiamo assistito anche in Italia, le richieste di pieni poteri, il conflitto sanguinoso tra poteri dello Stato e la perdita di senso collettiva sono altrettanti sintomi di un malessere collettivo, di una rabbia sociale dilagante, di una rappresentanza sempre più flebile che si rifugia dietro il paravento di leggi elettorali pessime, nel tentativo di decidere a tavolino i nomi dei governanti. Una democrazia senza popolo, dunque, anzi contro il popolo, che naturalmente alimenta le forme di populismo più deteriori.
In Afghanistan si è concluso il secolo americano e ha aperto un vuoto che non è ancora stato riempito. Come insegnava Gramsci, bisogna stare attenti perché nell’arco di tempo che intercorre fra il non più e il non ancora si generano i mostri.
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