Radio Bullets lancia l’hashtag #saveafghanwomen per aiutare, sostenere, far conoscere le donne afghane e il loro dramma.
“Da una settimana la situazione in Afghanistan è cambiata drasticamente. Per 20 anni è stato un paese in bilico, pericoloso, complicato. Ora è come se stesse precipitando in una voragine in cui nessuno pensava di poter scivolare. Il nemico di due decenni non solo ora siede sulla poltrona di un presidente che per quanto ‘broglioso’, era stato eletto (Ashraf Ghani) ma è diventato per qualcuno un partner al quale almeno si può concedere il diritto di essere ascoltato. Su quali basi si debba basare questa fiducia, nessuno lo spiega. E su quali basi invece, non ci dobbiamo fidare di chi per tanti anni ha vissuto nella loro minaccia, è ancora meno chiaro. Che i talebani abbiano invocato la Sharia, la legge islamica. Che abbiano detto che le donne vivranno felici se si atterranno a quello che ordinano, sono fatti. E anche che nei conflitti e spesso anche nei regimi, donne, bambini, attivisti, giornalisti, intellettuali, artisti, atleti e chiunque non sia aderente al pensiero unico di chi li governa, rischia la pelle. E i talebani in questi anni hanno fatto esplodere Kamikaze, messo ordigni, attaccato chiunque rappresentasse un pericolo”. Questo scrive la giornalista Barbara Schiavulli su sito di Radio Bullets nell’ambito dell’appello a rilanciare l’hashtag #saveafghanwomen
“Le donne 20 anni fa in Afghanistan non potevano uscire da sole se non con una presenza maschile. – aggiunge ancora la Schiavulli nel suo articoolo – Non potevano andare a scuola, non potevano mostrare i loro volti, non potevano lavorare. Oggi i talebani promettono che non sarà così ma in realtà stanno dimostrando solo di essersi fatti più furbi rispetto agli anni ’90: ora dicono all’America e agli alleati quello che vogliono sentirsi dire, e quando non visti, fanno quello che vogliono – come andare casa per casa e compilare elenchi di donne single da far sposare ai talebani. Quando i riflettori dei media occidentali si spegneranno – e accadrà perché ci si indirizzerà verso una nuova crisi che si tratti di covid o di un campionato di calcio – saranno liberi di rivelarsi per quello che sono. Un detto afghano dice: ‘Puoi anche cambiare la sella di un asino, ma resta sempre un asino’. Le donne rappresentano l’eredità di una società. Le donne sono forti. Ma quando è uno Stato a tentare di cancellarle, allora spetta a tutti intervenire. Finché ci sarà internet e l’elettricità possono ancora comunicare e raccontare la loro paura, le loro preoccupazioni. A Jalalabad si sono persino esposte manifestando contro i talebani. Ma per quanto arrabbiate, da sole non potranno sconfiggere qualcuno che neanche gli americani e tutti gli alleati insieme e tonnellate di armi e soldi, sono riusciti a battere. Fino ad una settimana fa le donne uscivano con le amiche, andavano al ristorante, guidavano, lavoravano facevano sport, soprattutto nelle grandi città. Non era facile, ma lottavano perché vedevano un futuro davanti. Ora no. Ti dicono che stanno male, che stan perdendo la testa, che tutto quello che han fatto finora è andato sprecato”.
Per questo è importante sostenere l’iniziativa di Radio Bullets, avviata in collaborazione con l’associazione NoveOnlus, che accende i riflettori sulla condizione e la battaglia delle donne afgane, rilanciando l’hashtag #saveafghanwomen
Proviamo a fare la differenza. Facciamoci sentire: per loro e perché è la cosa giusta. È un gesto piccolo, ma il ripertersi di una goccia che cade può essere molto fastidioso.