A Formia al lato dell’Appia, la “divina”, la strada che tutto racconta e tutto raccoglie, c’è una lapide che, anche da sola, può smentire, superare, annullare le ombre nere che si addensano sulla provincia di Latina, la quale a dispetto di qualunque sottosegretario nostalgico del fascismo può, per moltissime ragioni e presenze, essere invece definita una “terra rossa”. Quella lapide è dedicata alla memoria di Antonio Gramsci che trascorse nella città del sud pontino alcuni anni da ricoverato nella clinica in cui si curava e dove tutti, dalle donne delle pulizie ai vicini, sapevano di avere lì, a portata di stretta di mano, un uomo che avrebbe fatto la Storia culturale e politica del Paese. Così è stato. A lui è dedicato un parco limitrofo alla casa di cura in cui fu ospitato.
Latina e la sua provincia avvolte nel mito nero del fascismo sono un riassunto mal posto di un territorio che ha altro da raccontare e dire. Di uomini e donne che sono l’altra faccia, di sinistra, trascurata in favore della retorica della bonifica e delle avventure pontine del duce Benito Mussolini, di suo fratello e dei gerarchi che li seguirono. Invece c’è Gramsci, che è il politico più ricordato nel sud della provincia di Latina. E non è il solo.
Si potrebbe dire di Ortensia De Meo, classe 1883, moglie di Amedeo Bordiga dal 1914, unica donna ad intervenire al primo congresso del Partito Comunista. Era di Castellonorato, una frazionicina minuscola della città di Formia dove ancora oggi c’è nell’aria l’allure di una donna considerata apripista dell’impegno in politica in un tempo in cui nulla era scontato.
Si potrebbe dire di via “Pietro Ingrao”, il nome dato appena due anni fa ad una delle strade che dal centro storico si tuffano nel mare di Sperlonga. Lo ha deciso un vecchio socialista che oggi fa l’assessore in quella città, si chiama Stefano D’Arcangelo e nella delibera ha ricordato l’impegno di Ingrao contro la speculazione edilizia che ha cominciato ad affogare il borgo già negli anni Settanta. Non riuscì a fermarla nemmeno Ingrao ma in quel comprensorio ancora molto parla di lui, soprattutto a Lenola, la sua città, oggi considerata una sorta di enclave culturale della provincia di Latina e dove ha sede l’associazione Pietro Ingrao e ogni anno una serie di eventi ne ricordano la biografia, l’impegno, l’eredità morale.
Si potrebbe dire di Vittorio Foa. Alla bella età di 95 anni il padre nobile della sinistra italiana convolò a nozze con Sesa Tatò nella loro Formia, dove vivevano da tempo in una splendida casetta di Castellone, il borgo incorniciato dalle montagne che guarda sul mare e da dove si vede l’isola di Ischia nelle mattine che seguono le notti di pioggia. Correva l’anno 2005: fu una festa per mezza città quel matrimonio, orgoglio per tutti i vicini di casa, articoli sui quotidiani nazionali e un bel pezzo di identità di sinistra portato sotto i riflettori nella “provincia nera”.
Si potrebbe dire di Alberto Moravia, “nascosto” letteralmente dai pastori di Fondi dentro un casolare di contadini sulle montagne dove i fascisti non sarebbero potuti arrivare o, nel caso, si sarebbero perduti e comunque sarebbero stati depistati. Il grande scrittore fu portato lì a dorso d’asino e vi rimase nove mesi con Elsa Morante. Di questa storia resta quella piccola casa in alta montagna con lo sguardo sul mare, un luogo a suo modo mistico e un po’ poetico.
Si potrebbe dire del carcere di Santo Stefano, grande poco meno dell’isolotto omonimo, il penitenziario dove fu rinchiuso Sandro Pertini, poi definito un “brivido della Storia” d’Italia e d’Europa, oggi in fase di restauro e ormai simbolo della lotta per le idee di libertà nonché il punto esatto da cui è partito il progetto dell’Unione tra i paesi europei.
Si potrebbe dire di Luigi Di Rosa. Era un giovane militante della Fgci e fu ucciso a Sezze Romano il 28 maggio del 1976 dai fascisti (squadristi del Msi) durante un comizio. Sì, era proprio il 1976 e da allora a Di Rosa vengono dedicati a cadenza periodica convegni, ricordi, ricerche, riflessioni. Tutto nella piccola città di Sezze, ancora definita roccaforte rossa della provincia di Latina.
Si potrebbe dire dell’eccidio di Roccagorga: sette persone vennero uccise durante gli scontri tra i contadini, ribelli per le condizioni di miseria in cui erano costretti, e le forze dell’ordine. Fu la prima rivolta sindacale eclatante con rivendicazioni incredibilmente simili a quelle dei braccianti che attualmente lavorano nell’agro pontino. Era il 6 gennaio 1913.
Si potrebbe dire che uno dei più amati e seguiti intellettuali della sinistra di oggi, Nichi Vendola, vive nel sud profondo della provincia di Latina con una discrezione proverbiale che tuttavia egli stesso ogni tanto viola per partecipare ad incontri letterari in quello stesso comprensorio, lasciando l’impronta di un certo mondo di sinistra che non si arrende alla narrazione della provincia nera dilagante nella cronaca politica nazionale.
Si potrebbe continuare ancora, per restituire a Latina l’immagine tridimensionale offuscata dall’infelice proposta di cambiare il nome al parco Falcone-Borsellino per rimettere quello di “Arnaldo Mussolini” con la scusa che “quella è la nostra storia”. No, la storia di quella terra è fatta di mille altre storie.
(Nella foto la bella immagine realizzata da Alekos Prete sull’altra faccia di Latina)