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Nicoletta Orsomando: il volto è il messaggio

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La scomparsa di Nicoletta Orsomando accompagna simbolicamente la nuova trasmigrazione tecnologica della televisione, con gli apparecchi attuali in via di rottamazione. In un certo senso, la riconosciuta Regina delle annunciatrici (così furono chiamate le figure dell’incipit dei palinsesti, con gergo classicamente maschilista)

ci ha sottolineato – amaramente lasciandoci- che una parabola si è esaurita. Quella parabola iniziò nel 1953 per pochi intimi e l’anno dopo per intimi allargati. E l’inizio dello schermo di casa, così decisivo per costruire ed espandere le culture di massa, ebbe il marchio gradevole e la cifra stilistica di Nicoletta Orsomando. In un certo senso, il segno e la cifra del servizio pubblico: telegenicita’ mai volgare, dizione e fonetica accurate (ormai miraggi inarrivabili), gentilezza ed empatia. Niente cameraman, è stato ricordato, sola/e davanti alla macchina. In fondo, il video per tanti anni è assomigliato al teatro, più che al cinema.
E la voce era quella della radio, perfetta e non contaminata. In un paese ancora bigotto e tanto discriminatorio verso le donne, la scuola delle cosiddette annunciatrici del servizio pubblico fu importante, consegnando al volto femminile una giusta primazia. La Orsomando, però, andava oltre. Era una sorta di ipertesto, perché le presentazioni dei programmi ne erano in un certo senso degli originali prequel. Quando appariva lei, partiva il messaggio, come un’autopresentazione alla James Bond. O le prime frasi di un romanzo famoso o di una celebre sinfonia. Lasciamo stare qui, per decenza e rispetto per una diva moderna che non è ora con noi, ogni paragone con certa televisione trash, con veline e tornisti al seguito. Se mai, l’associazione potrebbe essere fatta con talune brave conduttrici di oggi. Già, ma la Rai ispida e controllata poteva prevedere una Orsomando conduttrice del Festival di Sanremo, ma mai una giornalista in un telegiornale. Senza appoggi o riferimenti politici non bastava neppure scalare la parete nord. Ci manca, a maggior ragione, quella trama perfetta, intessuta di rigore e di semplicità. Ci rattrista molto questa dolorosa morte, per il venir meno di una persona amabile e per i suoi cari. E ci rattrista per l’incombere di una contemporaneità cinica e leggera, che ha occupato l’immaginario e ha devastato il discorso televisivo. Parlare di Nicoletta Orsomando sollecita la retrotopia e la memoria commossa in un tempo che corre nell’inferno digitale dove si alimentano a vicenda tecnocrazia e volgarità.

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