La deriva danubiana di un’inchiesta. Diario dei finalisti della 10a edizione

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Si è imposto il caldo romano di fine giugno, è il momento di espatriare. Atterriamo a Vienna, dove ci aspetta Tobias. I programmi sono fissati, le interviste e le riprese in esterna, ma anche un bagno nel Danubio e qualche serata nei locali che hanno riaperto. Eppure, ancora una volta, sono gli eventi non pianificati a infondere magia al nostro viaggio.

Stiamo maturando la consapevolezza che la forza in questo mestiere stia nel saper afferrare l’imprevisto, ascoltando l’intuito che ti ha condotto nel posto giusto al momento giusto. Se il lavoro dietro le quinte rimane la base fondante, è solo lasciandosi andare al gioco fornitoci dalla realtà che diamo forma a qualcosa di vivo e di pulsante.

Non sempre, in questo divenire di eventi non previsti, ci sentiamo pronti ad affrontare ciò che ci aspetta. I limiti esistono e spesso a fine giornata siamo lì a rivangare quel che avremmo potuto fare diversamente. Eppure, con il giusto distacco, ci rendiamo conto di aver fronteggiato situazioni per noi inimmaginabili. Se ne usciamo con il materiale che ci serve è perché l’obiettivo finale, anche immersi in quella confusione, in fondo non lo perdiamo mai di vista.

Realizziamo sempre più quanto il nostro lavoro ruoti attorno al lato umano, alla spinta verso la conoscenza degli individui, dei loro punti di vista, degli eventi che hanno segnato la loro vita. È collegando e dando voce a questi pezzi di umanità che prende vita l’inchiesta, un atto di denuncia verso un sistema di oppressione che come suo scopo ha proprio quello di silenziare le sue vittime. In parte, realizzare il nostro lavoro ci fa pensare che i più forti in fondo non l’abbiano ancora avuta vinta.

 

Incontriamo finalmente persone con cui abbiamo parlato al telefono decine di volte, abbattendo quel filtro di freddezza dato dalla distanza. Ora, guardandoci negli occhi il rapporto cambia e acquista il suo senso. David e Arianna non possono comunicare in tedesco, e allora ci si lascia andare ad altri sensi, all’istinto. Ed è proprio quest’ultimo a dire ai nostri testimoni di potersi fidare, aiutandoci così a riaprire piste da noi ormai date come chiuse.

Alla fine di ogni incontro la sensazione è quella di aver instaurato qualcosa, forse non ci rincontreremo più ma quel legame non dettato dal caso è ormai inciso per sempre nei nostri ricordi. La domanda è se tutte queste emozioni siano normali, o se sia il fascino della prima volta. Noi speriamo di no e che questo lavoro continui a riservarcele sempre, con la stessa intensità.


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