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Isis, nel mirino Usa e talebani

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Il terrorismo islamico colpisce su tanti fronti diversi. C’è l’orribile massacro a Kabul e le conseguenze politiche dell’attentato. Le bombe dell’Isis il 26 agosto hanno causato 170 morti, in maggioranza afghani, ma ci sono anche 13 soldati americani tra le vittime. Molti corpi restano da identificare perché resi irriconoscibili dalle devastanti esplosioni. Non solo. Il lugubre bilancio dell’attentato potrebbe anche aggravarsi perché tra gli oltre 200 feriti molti sono gravi.

I servizi segreti occidentali da molti giorni parlavano di possibili attentati del terrorismo. Un bersaglio facile era la folla di afghani in fuga, assiepati nei pressi dell’aeroporto di Kabul. E così è stato: sono stati colpiti i disperati con la speranza di poter fuggire dall’Afghanistan conquistato dagli “studenti coranici”. Joe Biden, nel vertice straordinario del G7 dopo la disfatta occidentale, aveva motivato proprio con il rischio terrorismo il no a prorogare l’evacuazione oltre la data fissata del 31 agosto. Il presidente statunitense aveva avvertito: «Non possiamo permetterci ulteriori rischi, e sono rischi reali di attentati terroristici».

La risposta degli Usa alla strage è stata immediata: un ideatore dell’attentato è stato ucciso tramite un bombardamento effettuato con un drone. Il portavoce delle truppe americane Bill Urban ha annunciato: «Abbiamo ucciso l’obiettivo e non siamo a conoscenza di vittime civili». Biden dalla Casa Bianca aveva promesso agli americani frastornati e addolorati: «Non perdoneremo e non dimenticheremo». Il messaggio ai terroristi è chiarissimo: «Ve la faremo pagare». La caccia ai terroristi è aperta. Nel mirino americano ci sono la leadership e le basi dell’Isis: «Sceglieremo noi il posto e il tempo».

Comunque resterà ferma la data del 31 agosto per completare l’evacuazione dall’Afghanistan (finora sono stati portati in salvo 100.000 profughi) perché il presidente teme altri attentati all’aeroporto di Kabul con autobombe e con razzi diretti contro gli aerei in decollo.

L’Isis Khorasan (antico nome dell’Afghanistan) ha rivendicato l’attentato, è tornato a seminare lutti e terrore. La ricostruzione spiega: un kamikaze imbottito di esplosivo si è fatto saltare in aria, è esplosa un’auto-bomba, sono seguite delle sparatorie.  I talebani hanno condannato la feroce strage. Il portavoce Zabihullah Mujahid ha garantito: i talebani «non permetteranno ai terroristi di usare l’Afghanistan come base per le loro operazioni».

La rassicurazione è rivolta prima di tutto agli Usa. Nel 2001 George Bush ordinò l’invasione dell’Afghanistan perché il mullah Mohammed Omar ospitava gruppi terroristici di al Qaeda. Così il presidente americano ordinò l’attacco dopo lo spaventoso attentato contro le Torri Gemelle di New York.

Ora i talebani vincitori si presentano invece come moderati, in favore della Sharia islamica, contrari alla democrazia ma avversari del terrorismo. I militari statunitensi a Kabul hanno riconosciuto che, grazie agli “studenti coranici”, sono stati scongiurati diversi attentati nei giorni scorsi. Il mullah Abdul Ghani Baradar lavora a un “governo inclusivo” comprendente anche esponenti politici filo occidentali. Il nuovo leader del costituendo Emirato islamico dell’Afghanistan rassicura tutti comprese Cina e Russia, i suoi maggiori sostenitori orientati ad aprire una ambasciata a Kabul. Pechino e Mosca, infatti, hanno delle minoranze musulmane all’interno dei loro confini e temono un possibile contagio dell’integralismo e del terrorismo islamico.

Lo spaventoso attentato del 26 agosto colpisce al cuore anche il nuovo regime afghano. Lo Stato islamico punta a delegittimare i talebani, presentandosi come il vero vincitore degli Stati Uniti e della Nato, degli “infedeli”. Punta a dimostrare che non controllano il paese appena conquistato. Ma un Afghanistan nel caos, instabile spaventa tutti: Cina, Russia, Stati Uniti, Unione europea. Sono in allarme anche India, Turchia, Iran, Arabia Saudita, le potenze regionali dell’Asia centrale.


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