Un anno fa il popolo bielorusso voleva elezioni libere e trasparenti. Non la rivoluzione contro il primo e per ora anche l’ultimo presidente Aleksandr Lukashenko, al potere dal 1994. La società civile bielorussa ha soltanto chiesto un conteggio trasparente e super-partes dei voti espressi dal popolo nelle urne. Chiedeva solo la verità.
Ha incassato invece un’amara delusione trasformatasi il persecuzione. Oggi, a distanza di un anno, continua a pagare un prezzo sproporzionato per la sola richiesta di democrazia nel Paese.
La repressione in Bielorussia è in continuo crescendo dal estate 2020, ma da fine maggio del 2021 ha cominciato a fuoriuscire dai confini nazionali. Dal dirottamento dello stato del volo Ryanair al tentativo di rimpatrio forzato dell’atleta Krystsina Tsimanouskaya il regime dittatoriale continua a dare le prove che il dialogo per la transizione del potere rimane un’ipotesi alquanto improbabile e che ogni manifestazione di dissenso verrà punita indipendentemente dalla distanza che separa il dissidente dalla patria.
Dopo la morte dell’attivista Vitali Shyshov avvenuta a Kyiv il 3 agosto in circostanze torbide, ma assai eloquenti, il presidente ucraino Vladimir Zelensky ha ordinato di implementare le misure di sicurezza per proteggere gli attivisti bielorussi che si trovano sul territorio del paese. Nel frattempo un altro attivista bielorusso residente in Ucraina, Viachaslau Sikora, fa sapere tramite la propria pagina Facebook di aver cominciato a ricevere ogni giorno le minacce che alludono alla morte di Shyshov. Sikora è ricercato in Bielorussia per motivi politici e ha dovuto lasciare il paese a causa di persecuzione da parte delle autorità poco dopo l’inizio delle proteste, proprio come Shyshov.
Le repressioni in Bielorussia continuano in una tragica escalation costante e ormai non stupiscono più, anche se iniziano a fare notizia nei media, ma questo non basta. Ora nel bersaglio del regime sono finiti gli esponenti dell’intelligencija. Nella giornata del 4 agosto la sociologa Aksana Shelest, il filosofo Uladzimir Matskevich e la sociologa Tatsiana Vadalazhskaya hanno subìto una perquisizione delle loro abitazioni e sono stati accompagnati alla centrale per un interrogatorio. I loro dispositivi informatici ed elettronici sono stati sequestrati. Dopo l’interrogatorio le autorità hanno convalidato l’arresto di Matskevich e Vadalazhskaja, mentre Aksana Shelest è stata rilasciata a piede libero.
5 agosto è stato arrestato e condannato a 15 giorni di reclusione il fotocronista Dzmitry Dzmitryeu che lavora per la testata indipendente Novy Chas, la stessa che aveva pubblicato l’inchiesta di Dzianis Ivanshyn sugli ex soldati del corpo militare ucraino Berkut attualmente in servizio nel corpo speciale bielorusso. L’indagine è costata a Ivanshyn la libertà: è in prigione dal 12 marzo.
Attualmente 29 giornalisti sono in carcere per aver raccontato la verità su quanto sta accadendo nel Paese, mentre i prigionieri politici sono 608.
Quante vittime ancora mieterà il regime prima che le istituzioni internazionali competenti intervengano in una maniera più decisa per fermare questa strage di innocenti?