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Il gran pasticcio afghano

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Tre mesi, 90 giorni, questo è il tempo stimato ( forse in eccesso) da molti analisti internazionali, entro cui anche la capitale Kabul cadrà in mano ai talebani, compiendo così quello che appare ormai inevitabile e cioè la riconquista del paese da parte dei fondamentalisti islamici. Dopo Kandahar anche Herat, la città che è stato per molto tempo sotto il controllo del contingente italiano ( che ha pagato un conto salato di vittime con 53 militari uccisi), è crollata sotto l’avanzata inesorabile dei talebani. I talebani avanzano molto più velocemente di quanto l’amministrazione avesse previsto e Kabul potrebbe cadere nel giro di poche settimane e non di mesi. Ma non è una sorpresa e non cambia nulla: Joe Biden ha deciso il ritiro dall’Afghanistan entro agosto anche perché i talebani già avanzavano e c’era il rischio di veder cadere il governo locale con i militari statunitensi ancora sul territorio.

Una prospettiva da incubo per qualsiasi presidente, tanto più ora: la permanenza in quel paese è davvero impopolare, il 70% degli americani è a favore del ritiro”. Ian Bremmer, analista politico e fondatore del think-tank Eurasia Group ha spiegato molto bene due giorni fa il perchè Biden non farà nulla per impedire la conquista talebana. ma che questo sia la migliore opzione è tutt’altra questione. D’altra parte l’attuale presidente sta completando una operazione che era nata sotto amministrazione Obama, quando lui da vicepresidente si occupava proprio delle questioni mediorientali, e proseguita di gran carriera da quella Trump. 20 anni di occupazione, 1000 miliardi di dollari spesi, 2 mila soldati americani circa morti, non hanno prodotto altro risultato che quello di rafforzare la resistenza talebana e creare uno zoccolo duro di fiancheggiatori, stufi della ingombrante presenza di americani ed europei. Ma ormai la strategia americana è cambiata, il ruolo di poliziotto del mondo non le si addice più o meglio nessun presidente vuole assumersi questo gravoso compito. Basti guardare a quello che accade in Yemen, in Siria, in Nagorno Karabah, in Tunisia, Myanmar, in Libia, dove Turchia e Russia hanno ben volentieri approfittato di questo vuoto di potere per inserirsi nelle contese per giocare un ruolo da protagonisti.

La vecchia Europa da sempre guarda le vicende geopolitiche da spettatore, anche quando come in Tunisia e Libia, dovrebbe in prima linea, sia per motivazioni storiche che geografiche. Adesso in Afghanistan la patata bollente ( ma siamo sicuri che lo sarà) passa nelle mani cinesi, che secondo i bene informati, sicuramente userà il regime talebano a proprio vantaggio, in funzione anti pakistana e soprattutto anti indiana. Kabul diventerà probabilmente un nuovo avamposto cinese in una zona nevralgica per destabilizzare ulteriormente il Pakistan e minacciare l’India e per proseguire nel suo ambizioso progetto della Nuova Via della Seta.. A fine Luglio una delegazione di talebani è stata ricevuta dal ministro degli esteri cinese Wang Yi a Pechino. La Cina insomma vuole garantirsi che i talebani non saranno un problema per loro, dando ormai per scontata la loro conquista del paese. Inoltre il suolo afghano è ricco di idrocarburi e di materiali rari, su cui la Cina da tempo ha mosso i suoi avamposti per il loro sfruttamento.

La Cina insomma ha tutto interesse che l’area venga stabilizzata politicamente, senza intervento delle forze alleate. I problemi perciò rischiano di trasferirsi proprio sull’Europa, che rischia come al solito di diventare il ventre molle della nuova geopolitica mondiale. La mancanza di una politica estera seria e credibile, che ha avuto conferme anche nell’accettazione passiva della decisione unilaterale degli Usa di ritirarsi dal paese, determina una condizione di subalternità non solo verso Usa e Cina, ma anche verso Turchia ( che già pregusta forse una nuova potente arma di ricatto sul fronte migranti) e Russia. Senza contare una nuova e assai concreta recrudescenza del terrorismo, che probabilmente colpirebbe proprio l’Europa, accusata di aver combattuta per anni il regime talebano. Ecco perchè la questione afghana rischia di diventare una sorta di Vietnam europeo, senza avere avuto altre colpe che quello di partecipare ad una missione voluta fermamente dagli Stati Uniti, dopo gli attacchi dell’11 Settembre e portata avanti con alterne vicende senza riuscire in venti anni a rafforzare le forze di sicurezza afghane e senza riuscire a sradicare il fondamentalismo talebano. Ma adesso le priorità americane sono altre e riguardano sempre più i confini propri. Almeno su questo il presidente Biden sembra voler proseguire sul solco segnato da Trump, che proprio sulla politica dell’America first ha costruito le sue fortune elettorali.


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