Il Mago Cotrone, un inarrivabile Vittorio Bonaccorso, vive a Villa Scalogna dove l’arte va oltre il Teatro come luogo dove si recita. Per lui tutta la vita va vissuta come una poesia, dentro una poesia, dove vivono i sogni, gli unici “luoghi” dove entra l’invisibile, dove l’infinito diventa sostanza. La Contessa Ilse, una straordinaria Federica Bisegna, giunta, con la sua compagnia di teatranti-personaggi in cerca d’autore, a Villa Scalogna, spera, invece, di mettere in scena “La favola del figlio cambiato”, proprio in un Teatro, perchè crede che è quello sia l’unico posto in cui tutti possono vivere “lo specchio della vita”, necessario per essere consapevoli della propria esistenza. Ma in quel luogo indefinito, estraneo a tutto e a tutti, metafora del mondo, il Teatro non c’è più. Solo i Giganti della Montagna che governano, terribilmente, su di esso potrebbero consentire ad Ilse di realizzare la sua ragione di vita. Qui, si interrompe l’opera di Pirandello, rimasta incompiuta per la morte del genio agrigentino. Ogni regista , dunque, prendendo in mano questo testamento spirituale ineguagliabile, cerca di dare un senso compiuto allo stesso attraverso una messinscena che evidenzi e valorizzi ciò che Pirandello è potuto arrivare a dire. La scelta, davvero geniale di Vittorio Bonaccorso è stata quella di accentuare il contrasto tra Arte e Vita, laddove l’eliminazione di questa dicotomia, a favore della prima, diventa essenziale per calarsi nella dimensione stessa dell’umano sentire. Il Mago Cotrone dice che bisogna andare oltre gli orli per toccare l’invisibile, che l’unico modo di arrivare alla realtà completa è allontanarsi da essa, guardandola, attraverso la fantasia, tutta intera, non nei i pezzi che siamo costretti a vivere quotidianamente. Poeta, filosofo, narratore, egli incarna la volontà di Pirandello a non arrendersi ad una vita priva di significato, votata soltanto alla mera sopravvivenza. E Bonaccorso, nel mettere in scena tutto ciò, punta sulla sospensione temporale ronconiana, sull’intensità del teatro espressionista, sui dialoghi serrati che dal quotidiano scivolano sui massimi sistemi che governano la nostra vita. La scalinata del Castello di Donnafugata è diventata per Vittorio Bonaccorso quello che l’ambiente ristretto del Piccolo Teatro fu per Strehler, l’occasione, cioè, di utilizzare un teatro in verticale in cui lo scendere e salire dai gradini diventa essenziale nell’acquisire il giusto ruolo della e nella messinscena. Bonaccorso ha così inventato quello che da oggi potremmo definire un Teatro capace di dare una ulteriore dimensione cinematografica ai movimenti di scena, con campi lunghi e lunghissimi in grado di regalare allo spettatore emozioni inedite, come quelle del finale, in cui la Contessa si allontana all’orizzonte con il suo bambino finalmente rinato nell’Arte.
Impossibile non citare gli altri straordinari interpreti, da Giuseppe Arezzi a Lorenzo Pluchino, da Federica Guglielmino a Rossella Colucci, da Alessio Barone a Benedetta D’Amato.
Applausi scroscianti e interminabili per un teatro che ci mancava tanto…
Scalinata del Parco del Castello di Donnafugata (Ragusa)
I GIGANTI DELLA MONTAGNA, di Luigi Pirandello
Regia e scene di Vittorio Bonaccorso
Costumi di Federica Bisegna
Con Federica Bisegna, Vittorio Bonaccorso, Giuseppe Arezzi, Lorenzo Pluchino, Federica Guglielmino, Benedetta D’Amato, Rossella Colucci, Alessio Barone.