Storico inviato di Striscia la Notizia, impegnato nel volontariato, in attività solidali e di denuncia contro ingiustizie, disservizi, abusi e criminalità. Ideatore e anima del progetto #NON CI FERMA NESSUNO. Una campagna sociale nata nel 2014 per incoraggiare i giovani studenti italiani a credere in loro stessi. Un progetto costruito con un approccio che punta a trasformare sconfitte, difficoltà e paure in occasioni d’affermazione dei propri talenti.
Luca Abete, può spiegarci la sua mission?
L’obiettivo è quello d’incoraggiare i ragazzi a credere in sé stessi e a non scoraggiarsi davanti alle difficoltà. Cioè far capire al ragazzo che un apparente ostacolo insormontabile, un momento difficile, qualcosa che sembra capitato solo a lui è accaduto anche ad altri che hanno affrontato e superato quella difficoltà. L’obiettivo è quello di riappropriarsi del valore della sconfitta che, se ben gestita, può diventare strumento preziosissimo per calibrare il proprio percorso e migliorare il proprio talento correggendo difetti ed errori. E’ questo, più o meno, quello che portiamo in campo e lo facciamo con modalità di vario tipo. I primi anni di questa campagna sociale sono stati affiancati da una ricerca sociologica affidata a docenti e ricercatori della Sapienza, per capire meglio le esigenze dei ragazzi. La nostra è una campagna sociale che si basa soprattutto sull’ascolto dell’interlocutore per poter poi calibrare al meglio quello che vuole essere il nostro messaggio.
Nel corso del Tour motivazionale si discute di solidarietà, ambiente, rispetto reciproco e disponibilità all’ascolto. Cosa lega tra loro queste tematiche?
La crescita personale, non può essere un qualcosa che si completa nell’analisi di noi stessi. Diciamo sempre ai ragazzi di studiarsi, studiare il proprio talento e valorizzarlo. Studiare i propri errori e correggerli. Ma bisogna partire dal presupposto che lo sviluppo di quello che siamo nasce anche dalla simbiosi, dal rispetto, dall’armonia con il mondo circostante. Il mondo circostante è fatto di ambiente, una tematica molto cara soprattutto ai giovani. Chi accresce la propria sensibilità nei confronti del mondo se ne avvantaggia. La solidarietà è uno dei punti forza di questa campagna sociale, imparare a donarsi aumenta la consapevolezza della disponibilità. Dalla disponibilità e dallo scambio nascono piccoli miracoli che si attuano poi con nuove consapevolezze che ci rendono più forti e consapevoli. Siamo gemellati da due anni con “UNIAMO” la Federazione delle Associazioni Persone con Malattie Rare e con il “Banco Alimentare” perché quando il cuore viaggia bene, viaggia meglio anche la testa.
Lei ha creato anche una community attiva sul web. Quali stimoli potranno emergere da questa esperienza?
L’obiettivo di creare una community sta nel far capire ai ragazzi quanto sia importante mettere a disposizione la propria esperienza per cercare di accorciare le distanze. E’ fondamentale per condividere non soltanto i successi, ma anche i momenti difficili. Tutti abbiamo attraversato quell’età. Quando ci capitava qualcosa, da ragazzi, sembrava sempre che la sfortuna si fosse accanita soltanto contro di noi. La community nasce proprio per questo, mettere a disposizione storie di coraggio che possano alimentare fiducia in se stessi e storie di resilienza, di difficoltà a superare ostacoli, che possano far capire quanto il destino sia molto simile per tutti.
L’attenzione del mondo accademico e scolastico non si è fatta attendere dalle prime edizioni. Quale percorso divulgativo ha caratterizzato il progetto e quali sono stati i risultati raggiunti?
Abbiamo fatto un esperimento vero e proprio. #NONCIFERMANESSUNO è nato per caso. Giravo per le Università a parlare d’informazione, comunicazione, indagini, inchieste, televisione. Mi chiedevano come avessi fatto ad arrivare a Striscia. Ho capito che ai ragazzi serviva ascoltare storie di successo, credibili, vicine alla loro dimensione, alle quali aggrapparsi. Ho capito che questo poteva essere il percorso per fare qualcosa di buono per tanti studenti italiani. Ovviamente, per farlo bisognava sperimentare. L’abbiamo fatto con la voglia di ascoltare e mettere al servizio dei ragazzi formule particolari di approccio. Sono nate campagne virali, flash mob, veicolandole su tutti i canali possibili, ultimo il podcast, partendo dalle storie di ragazzi che ne contagiavano altri. Nelle Università, nei luoghi d’aggregazione giovanili ho incontri, speach di un’ora e più, durante i quali non do lezioni di vita. Per una volta, i ragazzi non si sentono allievi che ascoltano il maestro. Io non insegno la vita, racconto la mia storia. E quando i ragazzi capiscono che nella storia di Luca Abete ci sono tanti punti simili a quelli che stanno vivendo si ritrovano più forti, più coraggiosi. A fine incontro, non ti dicono bravo – come si direbbe al termine di un show ad un artista – ma grazie come si direbbe a un amico. Questa è la gratificazione più bella per me.
Tra i diversi luoghi d’aggregazione coinvolti nel progetto ne ricordiamo uno in particolare, la Città del Vaticano. Come ha vissuto l’incontro con Papa Francesco?
Quella è stata una tappa incredibile non soltanto per l’emozione personale, ma perché conferma la bontà di un percorso, di una filosofia, di una mission. Abbiamo semplicemente fatto le cose per bene. Quando abbiamo fatto conoscere il progetto è stato apprezzato dal mondo accademico, poi dai ministeri, e poi è arrivata la Medaglia del Presidente della Repubblica. Sono arrivate anche gratificazioni importanti, come il titolo di Professore ad honorem dall’Università di Parma. Poi è arrivato addirittura l’invito in Vaticano: parlare con Papa Francesco davanti a 7.000 ragazzi è stato davvero qualcosa d’incredibile! Quando ho parlato con Papa Francesco ho raccontato il mio impegno a Striscia. L’ha colpito il rischio che corro nel realizzare i miei servizi d’inchiesta. Ho chiesto una benedizione per me, per gli altri inviati e per tutto lo staff. Alla fine abbiamo fatto anche un bellissimo selfie insieme, che poi è finito su tutti i giornali, mentre lui scherzava dicendo: “Ma che facciamo, le foto come i ragazzini?” E io rispondevo: “Francesco, noi siamo due ragazzini! Scattiamoci stà foto!”.
I suoi contributi al Giffoni Film Festival, alla manifestazione Palermo chiama Italia e ad altre iniziative culturali e d’impegno sociale sono messaggi di fiducia e speranza per i ragazzi?
Sì, perché, alla fine dobbiamo dare dei connotati all’azione che portiamo avanti. Il nostro tour universitario, in primavera, catalizza l’attenzione di molti studenti e organi d’informazione. E’ un messaggio che può diventare universale. Un messaggio di coraggio e vale per tutti. Quando i ragazzi mi dicono che hanno paura del futuro, li invito a pensare a quale paura può avere del futuro un ottantenne o un novantenne. Il ragazzo deve costruire la sua vita, una persona anziana ha paura che possa finire da un momento all’altro. Il nostro è un messaggio di coraggio che può essere veramente utile a tutte le persone. Per questo siamo arrivati dappertutto, come alle finali di Miss Mondo dove abbiamo parlato alle 150 finaliste come alle 149 escluse. Siamo arrivati anche nei luoghi dove ci sono solo adulti. Abbiamo coniugato il significato di coraggio e affermazione di se stessi anche per parlare di lotta contro le mafie. La partecipazione alle commemorazioni della strage di Capaci, per tre anni consecutivi a Palermo, ha rappresentato l’opportunità per parlare a migliaia di ragazzi giovanissimi e far capire loro quanto sia concreta la possibilità di determinare il futuro indipendentemente da quello che accade intorno. La mafia possiamo sconfiggerla con la consapevolezza del nostro valore e con la valorizzazione del nostro talento.
Quale relazione può esistere tra un’idea sperimentale e tante storie di resilienza giovanile?
Quando parti con un progetto sperimentale, ti trovi da solo con un’idea e non sai se funzionerà. I riconoscimenti che sono arrivati hanno trasformato anche la mia stessa consapevolezza. Tappa dopo tappa, anno dopo anno, stagione dopo stagione, evento dopo evento, questo messaggio, questa formula è sempre cambiata, non è stata mai la stessa. Abbiamo ascoltato, coinvolto i ragazzi per cercare di raggiungere risultati migliori sia in termini qualitativi che in termini numerici. I riconoscimenti che sono arrivati hanno dato la consapevolezza, la consacrazione a questo messaggio che ritengo particolarmente utile. All’inizio, quando arrivavamo all’Università, notavamo un po’ di paura. Ritrovarsi Luca Abete dentro l’Università avrebbe potuto significare servizi d’inchiesta per Striscia la Notizia. All’inizio, quando contattavamo le Università, qualche volta sentivamo che il telefono si chiudeva per il timore di un servizio televisivo non voluto. Aggiungo che il discorso motivazionale oggi è particolarmente diffuso. Il termine resilienza oggi è diffusissimo, ma sette anni fa – quando abbiamo cominciato – parlandone, dovevamo spiegarne il significato anche con delle slide. Grazie al nostro piccolo contributo, c’è stata una grandissima evoluzione nel portare avanti messaggi utili e quanto mai necessari soprattutto in questo periodo di pandemia che ha messo a dura prova i ragazzi.
Per il futuro, cosa dobbiamo aspettarci ancora dalla campagna sociale #NONCIFERMANESSUNO?
Noi continueremo sempre ad ascoltare i ragazzi. Continueremo a sperimentare e a seguire le tendenze o le necessità del momento. Nell’ultima edizione del Tour Italia Talk, che si è svolta in streaming, abbiamo utilizzato un claim che ha avuto un enorme successo: contagiamoci di coraggio. Un invito a vivere il contagio da Covid nella maniera giusta. L’unico tipo di virus che ci piace diffondere è proprio quello del coraggio. Sicuramente mi piacerebbe coinvolgere un target diverso e ampliare la fascia di utenza. Stiamo immaginando eventi per le scuole superiori, School Day in città simbolo dove avviare anche un confronto con i ragazzi. Oggi sentiamo parlare spesso di giovani allo sbando o che non hanno valori: proprio gli stessi discorsi che facevano i grandi quando noi eravamo ragazzini! Allora mancavano i social network che oggi amplificano modi di pensare e situazioni. Continueremo ad inseguire le necessità dei ragazzi, ad intercettare i loro bisogni; ma ci piacerebbe coinvolgere anche i bambini. L’Italia ha bisogno di riappropriarsi del prestigio, del valore, della cultura, della ricerca, della capacità di ricercare soluzioni che ci hanno resi famosi nel mondo. Per trasmettere questi valori dobbiamo partire proprio dai bambini. Considerare i bambini potrebbe aiutarci ad isolare il bullismo. Il bullo approfitta delle debolezze dei ragazzi più fragili. Se lavoriamo per aumentare la consapevolezza che una debolezza non è poi la fine del mondo, ma soltanto una fase transitoria verso una nuova consapevolezza, potremmo rendere i ragazzi meno vulnerabili e sconfiggere anche il bullismo.
Fonte Sito Unisin https://www.unisin.it/2021/08/