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Giornalisti afgani. È nostro dovere fare qualcosa per aiutarli

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Sono tanti i giornalisti, gli stringer, i traduttori afghani che in venti anni hanno lavorato fianco a fianco con gli inviati italiani. Persone che hanno condiviso con noi i rischi di un viaggio, i disagi del fronte, la paura degli attentati. Persone che sono state fondamentali per informare e perché noi giornalisti italiani tornassimo a casa sani e salvi. I nostri collaboratori afghani hanno letto per noi le dinamiche degli incontri tra capi tribali, sono stati loro a farci capire che quella non era la zona giusta dove passare o la persona giusta alla quale rivolgersi. Oggi, in questi momenti di caos nel secondo emirato talebano costruito con la forza, le loro storie, i loro appelli, arrivano sui cellulari dei colleghi qui in Italia. Non sono mai pietosi, com’è tradizione afghana, mantengono dignità e fierezza. Ma non per questo sono appelli meno angoscianti di quelli di chi aveva collaborato con le Ong o con i contingenti militari. Sappiamo che esistono liste di proscrizione in mano ai nuovi padroni talebani dell’Afghanistan. Sappiamo che i nostri colleghi laggiù rischiano la vita. Ogni giorno, ogni notte, solo per aver lavorato con noi, per noi e per la libertà d’informazione. È nostro dovere fare qualcosa per aiutarli. È nostro dovere non dimenticarli.


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