Gino Strada, per sua stessa ammissione, non era un pacifista: era un uomo contro la guerra. Sempre, a prescindere, conoscendone da vicino la barbarie e le conseguenze. Era un pacifista integrale, un medico burbero ma dotato di un’umanità squisita, semplice e vera che lo rendeva unico nel suo genere. Ed era spesso solo, anche se ora tutti lo piangono, compresi coloro che farebbero bene a tacere, se non altro per decenza, poiché da queste parti abbiamo buona memoria in merito agli insulti, alle offese, alle cattiverie gratuite e alle autentiche porcherie che furono scritte sul suo conto vent’anni fa, quando, dopo gli attentati dell’11 settembre, chiunque si scagliasse contro le scelte dell’amministrazione Bush era considerato automaticamente un sostenitore di Bin Laden. E occhio, perché Gino sopportava poco anche una certa sinistra, cui proprio oggi aveva ricordato sulla Stampa che il 7 novembre 2001 il Parlamento aveva votato quasi all’unanimità a favore della guerra in Afghanistan. Una scelta stupida, anti-costituzionale, nemica della dignità umana e del buonsenso; una scelta che proprio in questi giorni sta riportando in auge i talebani, in seguito al ritiro vigliacco di un Occidente, America in primis, che sostanzialmente ha perso la sua sfida. E ora che si apre una nuova questione legata ai profughi, disperati in fuga dalla miseria e dall’abisso che verranno a cercare un futuro alle nostre latitudini, avvertiremo il vuoto di quella voce sempre fuori dal coro che chiedeva disperatamente rispetto per la vita e lotta contro la morte in tutte le sue forme.
Non a caso, negli ospedali di Emergency, organizzazione attiva dal ’94, continua a essere curato chiunque, senza chiedergli il ruolo, la nazionalità, le convinzioni politiche o lo schieramento sull’uno o sull’altro versante della barricata mondiale. Viene curato chiunque in nome del Giuramento di Ippocrate e dell’amore per il prossimo, le due bussole di Gino, per questo irriso da molti e da molti altri considerato un utopista.
No, non apparteneva a tutti. Gino sapeva anche odiare: i farabutti, gli ipocriti, i guerrafondai, i finanziatori di lager, i trafficanti d’armi, i sostenitori di regimi, coloro che intrallazzano con i peggiori assassini della Terra salvo poi vestirsi da strenui difensori dei valori dell’Occidente, le parole vuote e le frasi fatte, una politica sempre più assente e silenziosa sui grandi temi globali e chi aveva svenduto la propria storia in nome del potere.
Non voleva star simpatico a qualcuno; anzi, la sua grandezza stava proprio nel risultare antipatico ai padroni del mondo, ai difensori dell’oppressione, ai fautori delle disuguaglianze e a coloro che, caduto il Muro di Berlino, avevano deciso di poter disporre del pianeta a piacimento, salvo ritrovarsi oggi con una situazione ingestibile e troppe crisi da fronteggiare per cui rischia di essere ormai troppo tardi.
Gino Strada era un uomo spigoloso, le cui dichiarazioni facevano sempre notizia, il cui pensiero era chiarissimo e coerente, il cui ripudio della violenza e della guerra non era negoziabile in alcun modo. Si era scontrato spesso col potere, lo aveva criticato aspramente e senza giri di parole, qualunque fosse il suo colore, ricorrendo alla schiettezza di chi può permettersi di dire la propria, essendo un simbolo e un punto di riferimento per molti che attualmente faticano a trovare una rappresentanza politica.
Proprio oggi, nel suo ultimo articolo, aveva denunciato la carneficina afghana e citato i numeri del disastro, fra morti, sfollati e vite devastate per sempre.
Non ha mai fatto sconti a nessuno, avendo come uniche linee guida la Costituzione, il già menzionato Giuramento di Ippocrate e l’opposizione a ogni forma di aggressione e di ingiustizia. E per le sue profonde convinzioni ha pagato un prezzo altissimo, che è bene ricordare, ora che a settantatre anni ci ha detto addio e troppi cercano di appropriarsene, magari per farne un santino, dopo aver contribuito attivamente per anni a danneggiarne l’immagine e a minimizzarne l’impegno, fino a condurre questo povero mondo al punto di non ritorno.
Ciao Gino, senza inutile retorica.
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