«Patricia ha solo trent’anni. È la terza moglie di Harold Ashbridge. È molto bella.»
Nella fastosa dimora degli Ashbridge ferve la festa che ogni anno, verso metà gennaio, il magnate della contea organizza prima di recarsi in Florida a trascorrere i mesi più rigidi dell’inverno insieme alla seducente e giovane consorte.
Al party vengono ammessi senza tanti formalismi anche gli amici degli amici, così che Donald Dodd e sua moglie Isabel ne approfittano per condurre con loro Ray e Mona di passaggio da una vacanza in Canada. Ray Sanders è stato il compagno del cuore di Donald a Boston, alla facoltà di giurisprudenza, talmente affiatati che hanno continuato a frequentarsi regolarmente anche dopo l’università, benché abbiano preso strade diverse: Donald è un serio avvocato di provincia con moglie, due figlie, e una solida casa a Brentwood; Ray è un affermatissimo pubblicitario a New York con mega appartamento a Sutton Place, nell’Upper East Side, e al centro di una brillante vita mondana con accanto Mona, fisicamente così simile a Patricia.
Quando arrivano alla tenuta degli Ashbridge, una ressa di invitati gremisce il sontuoso buffet, prima di spargersi liberamente in ogni stanza e locale della lussuosa dimora a due piani, facendo comunella con chi capita. L’alcol scorre a fiumi, anche Donald ha continuato a bere senza risparmio nonostante le occhiate di riprovazione della moglie, ed ora all’improvviso si è trovato di fronte a quella scena che non avrebbe mai potuto supporre e che sconvolgerà la sua esistenza:
«Senza motivo, sono salito al piano di sopra, come altri prima e dopo di me. Ho spinto una porta e l’ho rischiusa immediatamente. Ma ho fatto in tempo a scorgere Ray e Patricia. Non era neanche una camera, ma un bagno, e stavano facendo l’amore tutti vestiti. Patricia mi ha visto, ne sono sicuro. Sarei perfino pronto a giurare che nel suo sguardo non c’era imbarazzo, ma una sorta di divertita spavalderia.»
Il suo migliore amico, tanto ammirato quanto forse invidiato, si gode abusivamente la sensuale padrona di casa che lui ha desiderato spasmodicamente, in segreto, innumerevoli volte senza mai trovare il coraggio di andare oltre i banali convenevoli. Un contraccolpo che lo pone senza scampo di fronte alla propria grigia mediocrità e lo precipita in un malessere avvelenato:
«Isabel è alta, ben proporzionata, con lineamenti regolari e un sorriso un po’ accondiscendente, come se i suoi interlocutori avessero qualcosa da farsi perdonare.
Patricia è tutto il contrario. Piccolina come Mona. E ancora più scura di capelli, ma con gli occhi verdi. Ha un modo di guardarti, incantata, come se non desiderasse altro che introdursi nella tua intimità o schiuderti la sua. Isabel non fa mai pensare a una camera da letto. Patricia, invece, la associo sempre all’immagine di un letto.»
Il party si prolunga nelle ore piccole, e Donald, Isabel, Ray e Mona, sono tra gli ultimi ad abbandonare la festa, quando già nel Connecticut si è abbattuta una tempesta di neve di gigantesche proporzioni. La radio riferisce di auto abbandonate ovunque a casaccio, e ad ogni bollettino salgono le segnalazioni di morti e di dispersi. Nonostante i troppi whisky Donald si mette alla guida, con Ray accanto e le due donne dietro; è sbronzo ma ancora presente a sé stesso, soltanto in preda a una pericolosa sovreccitazione dietro la quale cerca di mascherare il malanimo che lo angoscia. Non sono tante le miglia che li separano da casa, ma la bufera è impressionante: il vento sferza l’auto facendola sbandare, il tracciato della strada è ormai del tutto invisibile e il tergicristallo si incanta senza riuscire più a ripulire il parabrezza. La Chrysler procede a fatica tra cumuli di neve sempre più alti e compatti, fino a quando è costretta ad arrestarsi. Non resta che procedere a piedi, Donald assicura che possono farcela, manca poco più di un miglio alla loro casa. I quattro escono dalla macchina cercando di farsi luce con l’unica torcia elettrica in dotazione, che ha però le batterie scariche e serve a poco: le due donne avanti, avanzano a testa china sorreggendosi a braccetto, i due uomini le seguono uno di fianco all’altro; né è possibile scambiarsi una sola parola nell’assordante ululare della tempesta. Passo dopo passo riescono tuttavia a raggiungere la salvezza, ad aprire a precipizio la porta di casa; ma una volta dentro si accorgono che manca Ray. L’amico non conosce abbastanza i luoghi e se ha perso l’orientamento rischia di precipitare nella scarpata che costeggia la tenuta. Donald non ha altra scelta che tornare all’aperto, cercare alla disperata Ray, salvarlo da un’inevitabile morte per assideramento. Si immerge di nuovo nella tormenta, ma con la visibilità ridotta a zero e il vento che lo travolge, non ha il coraggio né la volontà di proseguire. Udendo sbattere violentemente la porta semi divelta del fienile, di dirige da quella parte sperando che l’uomo vi abbia trovato insperato rifugio. Entra chiamandolo per nome senza ottenere risposta. Sfinito, crolla a sedere su una panchina rossa usata d’estate nel giardino; e al riparo dalla furia degli elementi ripensa a ciò che è successo, attanagliato dall’ignobile verità che lo assale, la segreta soddisfazione per la fine certa dell’amico. Una trama che il lettore stenterà a immaginare malgrado le insidiose premesse.
Rientrato nell’abitazione Donald lascia credere alle donne di aver cercato Ray per tutto quel tempo senza successo, sgomenti e consapevoli ormai che i mezzi di soccorso non potranno giungere prima del giorno successivo. Troppo tardi.
Benché le donne siano riuscite ad accendere il camino con la legna trovata in cantina, senza elettricità in casa si gela; per superare la notte decidono di portare tre materassi davanti al fuoco e cercare di riposare un po’. Isabel ha scelto di proposito quello di destra, lasciando il marito al centro tra lei e Mona. Ma la mano di Mona abbandonata mollemente sul parquet, così vicina, suscita in Donald una vampa di desiderio insopprimibile, che lo invade senza rimedio. “La mano”, ecco il titolo del libro. Mona, simile a Patricia, appartiene a quel genere di donna che lui ha sempre agognato senza ammetterlo, la femmina che associ subito al sesso, per la quale sei disposto a travolgere tutto:
«Avevo una voglia pazza, irragionevole, animale di toccarla. Mona se ne rendeva conto? Fuorché in un paio di occasioni, non parlava di Ray. Mi chiedo se anche lei non sentisse il bisogno di sfogarsi fisicamente».
Isabel, la moglie madre, forse ha intuito tutto e, chissà, lo sta subdolamente mettendo alla prova.
«Si dice di una coppia, “Sembravano così legati”. Immagino che a forza di usare questa espressione non si faccia più caso al significato. Non sarebbe più giusto dire “incatenati”?»
La fragilissima costruzione del suo matrimonio gli crolla ineluttabilmente addosso, senza preavviso:
«In diciassette anni qualche domanda me l’ero pur fatta. Come mai, però, fino a questo momento non mi avevano messo in crisi? Dovevo essermi dato automaticamente delle risposte adeguate, quelle che insegnano fin dalla scuola. Il padre. La madre. I figli. L’amore. Il matrimonio. La fedeltà. La bontà. L’altruismo…»
Siamo di fronte a un tema che si ripresenta di frequente nelle storie di Simenon: la gabbia invisibile che non di rado ci tiene prigionieri fino alle estreme conseguenze. La mano è il più bel libro dell’estate; un capolavoro in cui ci si immerge senza riuscire a rialzare gli occhi dalla pagina, per la sapienza con cui lo scrittore giunge a svelare una delle contraddizioni più acerbe e inestricabili nella creatura umana. Confessa infatti il protagonista riflettendo sulla propria condizione:
«Io credevo di aver scelto. Ho fatto del mio meglio. Mi sono sfinito a forza di fare del mio meglio».
Amico fraterno del grande Sim, Federico Fellini, autore di 8 ½ il film capolavoro sulla ricerca instancabile della autenticità personale, aveva espresso un analogo concetto con queste parole:
“L’unica fedeltà vera è quella a sé stessi e al proprio destino, nel rispetto assoluto di ogni individualità. Come potrebbe essere diversamente? Lo so che la morale corrente, le leggi e tutto il nostro vivere quotidiano sono spesso fondati su concetti antitetici, ma non ho neppure dubbi sul fatto che tutto debba cambiare”.