Ed Eduardo disse: Piera degli Esposti tiene ‘o verbo futuro”

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Non sono tante, ma nemmeno pochissime, le protagoniste del teatro italiano che, avendone eclettici meriti, saranno “storicizzate” pet la loro operosità nella seconda metà del novecento. Azzarderei qualche nome: Valeria Moriconi, spumeggiante, sensuale, dal repertorio sterminato; Mariangela Melato, colta, empatica, antidiva, pirotecnica; Ottavia Piccolo, la più scabra, defilata e politicamente impegnata (per un teatro di testimonianza, divulgazione civile). Non meno ‘necessarie’ le attrici attive nell’ambito della ‘ricerca’, del ‘teatro laboratorio’, da Manuela Kustermann a Laura Marinoni, da Lucia Poli alle indimenticabili, seducenti meteore di Rosa Di Lucia e Lucia Vasilico.

Anomalo ed apicale resta però l’esempio (l’eredità didattico, morale) che lascia a noi tutti Piera Degli Esposti, attrice per evitare di “fare la sarta“ e, quel più conta. “guarire dal disagio mentale” di una infanzia tremenda. Donna geniale ma parsimoniosa, amante del lavoro ma non incline a rivalità, stakanovismi, presenzialismi ad ogni costo.

Ricordate cosa consigliava Truffaut con “I 400 colpi ”Prima di ‘conoscere’ una persona indaga sui suoi primi anni di vita, l’ambiente e la famiglia da cui emerge. Stesso metodo consiglieremmo per Piera Degli Esposti, in anticipo sugli elogiativi commenti alla sua arte (di interprete, scrittrice, regista). Ritrovate una copia del film di Marco Ferreri “Storia di Piere” (1983), veridica biografia dell’attrice tratta dal’ romanzo autobiografico scritto con Dacia Maraini. Osservatelo con attenzione e scevri da schemi mentali; fate attenzione alle magnifiche interpretazioni che Marcello Mastroianni (il padre rassegnato e privo di nerbo) e Hanna Shygulla (la madre spiritata e occasionale amante di chi capita). Non banalizzate l’ambientazione disadorna, metafisica, a tratti dechirichiana del film (girato fra Sabaudia e Latina) a significanza dei rapporti sussurrati, rarefatti, sottintesi di un lavoro che ambisce all’ “astrazione e alla persistenza” (accade ora….accade sempre) dell’infelicità della donna (e d dell’inadeguatezza dell’uomo) in dimensioni antistoriche e antinaturaliste. Avrete in esito il destino di vita ricomposto e insofferente di Piera Degli Esposti “quel suo viso scomposto singolarmente bello. Sghembo. cubista, il suo stare in scena come in condizione di perenne duello”: non contro i colleghi ma contro i sottintesi del “testo” tutti da sviscerare e riposare a galla come affannata pescatrice di perle. Mi capitò persino (una provocazione?) di paragonare il suo viso, i suoi ‘sguardi sottintesi’ a quelli della Gioconda di Leonardo, mutanti non “secondo le intenzioni dell’interprete, ma gli umori, le prospettive, gli stati d’animo di chi stava in platea”. Mi risposero che esageravo. Ma resto della mia opinione,

Ad annoverare le tappe più importati di Piera Degli Esposti hanno già provveduto dettagliatamennte, e con puntiglioso anticipo, altri colleghi. A noi resta lo spazio di ricordare con qualche nostalgia il suo sodalizio giovanile con Tino Schirinzi /(un magnifico attore, simile ad un elfo invecchiato, ex medico ospedaliero, che aveva abbandonato Ippocrate alla morte del suo unico figlio). E, altrettanto formative, le frequentazioni di Antonio Calenda e Gigi Proietti (Teatro dei 101 di Roma) Il quale sosteneva che proprio in quegli anni, “Piera, attrice a vocazione brechtiana, aveva imparato a sconvolgere Brecht” Ovvero arrecando alla ‘stranazione’ del metodo un suo personalissimo spessore umano, dolente, sprezzante, ironico, secondo ciò che fiuto e istinto le suggerivano (straordinari in “Santa Giovanna dei macelli”). Non fu solo Proietti a intuire le potenzialità della collega. Quando Eduardo, nel 1989 (Piera aveva compiuto da poco 30 anni) la vide recitare in “Molly cara” –regia e adattamento di Ida Bassignano da un capitolo dell’”Ulisse” di Joyce(- commentò a bassa voce “Questa ragazza è ‘o vero verbo del teatro futuro” (in pochi capirono il suo stentoreo, bisbigliato ermetismo).

Seguirono le collaborazioni con Massimo Castri per l”Elettra” di Hoffmansthal e “Rosmersholm” di Ibsen; le frequenze estive al Teatro Greco di Siracusa, dove fu la più grande “Alcesti” mai vista (mix di umanità e derisione in scaramucce con lo scavezzacollo, esibizionista Ercole), l’amicizia con Enrico Job per l’”Assolo” di Luciano Codignola, la “sfida” di Carmelo Bene per una turbolenta edizione dell’”Adelphii”. Regista fedelissima alla Compagnia Le Loggetta di Brescia, Piera aveva poi collaborato con la Biennale Teatro di Venezia, lo Stabile dell’Umbria, il Teatro Nazionale di Bruxelles, il Museo del Cinema di Torino..

Adesso va via con garbo, riserbo, sentimento dell’anti-tragedia e del noioso melodramma, Così come si era riproposta di darsi agli altri.


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