BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI
barbara schiavulli

Davanti all’ambasciata afghana con la rabbia di non poter partire e il desiderio di raccontare

0 0
Davanti all’ambasciata afghana un manipolo di afghani arrabbiati cerca di entrare. Un po’ in disparte ci siamo noi quattro giornalisti che aspettiamo da molto di poter entrare per prendere il visto per una partenza che non si sa quando sarà, perché i voli per Kabul sono stati sospesi. Siamo tutti arrabbiati perché vorremmo essere lì. Siamo tutti veterani dell’Afghanistan, chi più chi meno, ci siamo stati tante volte. E sappiamo che questa era una Storia da raccontare.
Sono stanca, accaldata, sono uscita alle 7.30 del mattino senza cena né colazione alle spalle, prima per correre a Uno Mattina, fare un collegamento in studio e precipitarmi in ambasciata per prendere quel visto che chissà se vale ancora qualcosa. Siamo fuori, al sole, fa caldo. Ho fame e sete. Si chiacchiera, si ride, celando una rabbia interiore: ho già detto che avremmo tutti voluto essere lì? Ognuno per le sue ragioni, la mia si sa, io amo quel posto e quella gente, e ogni minuto che passo lontana da quello che dovrei fare, mi scarnifica l’anima.
I bar sono chiusi, ovviamente è il 16 agosto e noi ce ne stiamo in piena Roma sotto il sole. – Forse potremmo chiamare un Just Eat, dico scherzando. Dopo dieci minuti un motorino si ferma a qualche decina di metri con il tipico porta cibarie di Just Est. Il ragazzo si sbraccia. Ci guardiamo. Io non vedo fin laggiù. I colleghi mi giurano che si sta rivolgendo a me. Me? Ma io non lo conosco…Titubante mi avvicino e dal casco spunta il meraviglioso sorriso di Ali Ehsani. Ci abbracciamo sotto lo sguardo interdetto dei colleghi. E lo riabbraccio ancora.
Per chi non lo sapesse Ali ha scritto un libro per la Feltrinelli dove ho pianto da metà ininterrottamente fino alla fine. “Stanotte guardiamo le stelle”, non è un libro è pura emozione. Non ve lo sto a raccontare perché non potrei direi un millesimo di quello che è stata la vita di questo giovane uomo. Che mi sorride davanti come se non avesse attraversato l’inferno andata e ritorno.
Commentiamo quello che sta accadendo in Afghanistan e mi dice che c’è una famiglia afgana cristiana che è in pericolo. Gli dico di mandarmi tutti i dati, che avrei provato ad inserirli in qualche lista di evacuazione come sto facendo da due giorni a questa parte. Far uscire le persone che rischiano perché sono donne, attivisti, giornalisti, perfino tutte e tre le cose. Ali si apre in un grande sorriso e io gli dico che è solo un tentativo, che non ci sono garanzie. Lui annuisce, ci riabbracciamo e se ne va. Io torno dai miei colleghi racconto che quel ragazzo afgano che consegna il cibo e al quale io darei una medaglia ogni giorno per il resto della vita.
Passano altri venti minuti, fa sempre più caldo, l’ambasciata dice che aprirà presto. Capisco il caos. E ad un certo punto Ali torna, con sé ha un sacchetto con brioche ed acqua per tutti noi. Me lo porge sorridente, e naturalmente non vuole che lo rimborsi. Anche gli altri restano a bocca aperta.
Ma Ali è così esattamente come l’Afghanistan che io insisto a raccontare, quello puro, generoso, ospitale con un cuore che trascende le montagne e attraversa il mare per poi aggrapparsi alla tua anima per non lasciarti più. E non so se io sono brava a farlo capire quanto l’Afghanistan sia questo e non quella farsa che han messo su gli americani con i talebani e il resto del mondo che costerà altre migliaia di vite.
Il mio afghanistan oggi è Ali. E sono contenta che sia riuscito a ricordarmelo travolta dagli eventi. Sono queste le persone che dobbiamo aiutare e raccontare. Sono queste che gli americani e gli europei hanno abbandonato. Donne o uomini che siano.
Ali ci sorride e se ne va. E io affondo in una brioche. Poi ci danno il visto che non sappiamo bene se ci servirà ancora. Ma siamo pronti. Appena c’è un spiraglio di possibilità di entrare entriamo. Perché? Per tutti gli Ali che sono sopravvissuti a tutto questo, per quello che con la sola nostra presenza e le nostre storie possiamo accendere i riflettori, perché a volte bisogna semplicemente fare la cosa giusta. E non sarà mai sbagliata.
fonte: pagina facebook di Barbara Schiavulli.
Barbara Schiavulli racconta l’Afghanistan e il mondo tutti i giorni su Radio Bullets.

Iscriviti alla Newsletter di Articolo21