BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Dalla parte delle donne afghane

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Le storie sono un balsamo. Hanno un tale potere: non ci chiedono di fare, essere, agire, basta ascoltare…. Le storie sono disseminate di istruzioni che ci guidano nelle complessità della vita… e quando ne ritroviamo le tracce, è tipico delle donne di mettersi a correre forte per riguadagnare il tempo perduto …svuotare la mente, voltar pagina, rompere le regole, fermare il mondo…”1 e ricominciare.

Dall’Afghanistan è arrivata una storia che non avremmo voluto conoscere: attentati dei terroristi dell’ISIS hanno seminato terrore e sangue. Sono duecento ormai i morti e centinaia i feriti quasi tutti civili molti bambini e tredici marines americani. Ma anche la immediata “risposta del presidente USA Biden che dopo le lacrime invia i droni come “vendetta”.

Una storia una traccia di orrore e di morte che ci dice prima di tutto che il mondo si trova su un crinale molto pericoloso. La pandemia che ancora non è superata e la tragedia Afghana, i cui sviluppi sono imprevedibili e molto scivolosi perché possono sfociare in nuovi conflitti, accentuano le sfide che già avevamo di fronte: quella ecologica e dei cambiamenti climatici, quella demografica e delle grandi migrazioni di popoli; quella della cultura e della scuola; della ricerca e dell’innovazione; quella della costruzione di una cultura di pace e della soluzione nonviolenta dei conflitti. È franato l’equilibrio tra i quattro elementi primordiali che connettono il microcosmo umano e il macrocosmo naturale, terra acqua aria fuoco. Da tale equilibrio tanto l’Oriente quanto l’Occidente, fin dall’antichità , pensavano dipendesse la vita di tutte le specie e la sopravvivenza del cosmo. È ancora vero e bisogna agire subito. Adesso.

Le tracce delle storie che in queste settimane ci hanno raccontato e raccontano dell’Afghanistan sono tante: storie di uomini che odiano le donne braccate come prede di guerra. Storie di donne che si ribellano al regime dei Talebani perché non vogliono rinunciare a spazi di libertà che in questi anni hanno faticosamente conquistato: accesso all’istruzione, al lavoro e, in parte, alla giustizia. Perché non credono ai talebani che cercano di accreditarsi promettendo moderazione: troppo efferate le brutalità di cui sono stati capaci come si è visto già dopo che l’Unione Sovietica aveva abbandonato il paese: assassinii crudeli, la Sharia più violenta, le donne private di ogni diritto.

Dalle donne Afghane (che hanno scelto e sono riuscite a partire e quelle che rimangono là) è giunto un grido di dolore e un appello disperato: “ Non ci abbandonate … quando si spegneranno i riflettori le donne saranno il bersaglio. … Ci cercheranno nelle strade casa per casa ci uccideranno…ci ributteranno sotto il Burqua che è come morire lentamente”.

Vogliamo metterci a correre…. rompere le regole e contribuire a costruire un mondo nuovo: pensiamo che sia il momento giusto e necessario per mettere in campo la nostra forza, collocando la storia individuale di ognuna non solo in rapporto con quella di altre donne come sta già accadendo ma con il contesto e le vicende che riguardano il nostro Paese e il mondo intero. È già accaduto che la nostra forza abbia cambiato la società e la politica: deve succedere di nuovo oggi.

Per questo lanciamo un appello a tutte le donne delle Istituzioni delle associazioni movimenti professioni competenze scienziate, organizzazioni politiche e sociali: mettiamoci a correre insieme per riflettere e cercare soluzioni, proposte. Sappiamo che la galassia femminile contiene tante idee differenti e che a volte si contrastano ma quando è necessario si trovano le convergenze.

Le donne sono sempre state protagoniste nell’impegno per un mondo di pace. Sono 16 le donne che hanno avuto il premio Nobel per la pace (la prima nel 1905 Bertha Sophie Felicita von Suttner, autrice di ‘Giù le armi’, una delle prime opere, nel 1889, a diffondere le tematiche pacifiste radicali. Ultima nel 2014 Malala Yousafzai, a 17 anni, per il suo impegno a favore dell’istruzione dei bambini e delle donne). Nel nostro paese dall’unità d’Italia alla Resistenza ai giorni nostri tante sono le donne che hanno lasciato il segno nei grandi movimenti contro la guerra. Vogliamo ricordarne due tra le tante.

Maria Occhipinti che insieme ad altre a Ragusa si stese davanti ai camion militari per impedire che portassero via i giovani della rivolta “Non si parte”, scoppiata in Sicilia nel gennaio ’45 dopo la nuova coscrizione. La ritroveremo a Comiso nel 1981 a lottare contro l’installazione dei missili.

Lidia Menapace esempio e testimone della lotta nonviolenta. Il Presidente Mattarella ha scritto di lei: “I valori che ha coltivato e ricercato nella sua vita – antifascismo, libertà, democrazia, pace, uguaglianza – sono quelli fatti propri dalla Costituzione italiana e costituiscono un insegnamento per le giovani generazioni”.

Forse è iniziato il tempo che vede giovani generazioni di donne e uomini che indicano nuovi orizzonti e alimentano la speranza che “cambiare questo mondo è possibile”: stiamo pensando ai grandi movimenti iniziati tre anni fa in tutto il mondo con l’impegno e l’appello di Greta Thumberg sui cambiamenti climatici e lo sviluppo sostenibile; ai tavoli per la pace che aderiscono alla marcia Perugia Assisi (domenica 10 ottobre) per “prendersi cura” del mondo.

Così come hanno scelto di fare: Tommaso Claudi console a Kabul, Luca Attanasio, ambasciatore nella Repubblica democratica del Congo, ucciso lo scorso 22 febbraio, Elettra Verrone console in Tunisia, Yara Romanova consigliere d’ambasciata a Teheran, Stefano Stucci console a Gedda…. Sono diplomatici giovani e esempi di una nuova idea di diplomazia vicina alla gente, che va sul campo così come abbiamo potuto vedere in questi giorni.

Sappiamo che le grandi crisi sono anche una potente opportunità di cambiamento. “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. …la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie…. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. …È nella crisi che emerge il meglio di ognuno perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.”2

Capire che cosa può succedere in quel paese dentro un’area cruciale per il mondo intero è necessario. Il nostro obiettivo è ancora “costruire la pace affermare i diritti la libertà e l’autodeterminazione?”

Se sì dobbiamo cercare e trovare modalità nuove diverse dalla guerra eticamente riprovevole e in ogni caso fallimentare ovunque: dalla Libia all’Iraq alla Siria alla Somalia …; come ha cercato di farci capire con la riflessione e l’esempio della sua vita Gino Strada ed Emergency che a Kabul continua a curare tutti gli Afghani.

L’impegno dell’Italia è quello di proteggere i cittadini che hanno collaborato con la nostra missione. … E c’è un delicato lavoro da fare con i partner europei per trovare una soluzione della crisi che tuteli i diritti umani in particolare quelli delle donne”: così recita un comunicato di Palazzo Chigi.

Impegni doverosi e importanti. Rispondono all’emergenza umanitaria: si dovranno predisporre con l’Europa corridoi umanitari e un’accoglienza dignitosa per i profughi. Far in modo che le frontiere dei paesi vicini restino aperte per agevolare l’esodo via terra. È necessario altresì guardare un po’ più in là, oltre l’emergenza. Un popolo quello Afghano da decenni in guerra: con la “protezione” dell’occidente dopo la strage delle torri gemelle e prima ancora dell’Unione sovietica. Tornerà la Russia come sembra e arriverà anche la Cina (purché ci sia l’impegno dei talebani a non ospitare terroristi). Forse per proteggere anche il popolo ma soprattutto per interessi economici e relazioni internazionali che disegnino una nuova geopolitica come Cina e Russia sono già impegnate a fare in aree limitrofe fino a lambire il Mediterraneo.

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi sta lavorando invece per una riunione dei G20 urgente prima di quella già convocata per fine ottobre. Per una decisione solidale e innovativa.

I paesi del G20 rappresentano il 60% degli abitanti del Pianeta e l’80% del PIL mondiale. Sono: Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sud Africa, Turchia e Unione Europea. La Spagna è un invitato permanente.

Questi Paesi hanno il diritto e il dovere di aprire una riflessione e delineare un percorso verso un governo internazionale che affronti con passione e generosità tutte le sfide per la salvezza della Terra.

Forse un lavoro in tal senso sulle questioni decisive per la sopravvivenza del pianeta è meno lontano.

È il momento dell’Europa che deve e può evitare che ogni paese pensi ed agisca da sé e per sé. Per iniziare un percorso verso l’Europa sognata da Altiero Spinelli Ernesto Rossi Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann una donna decisiva per la stesura e diffusione del documento ma quasi mai ricordata.

“…la Federazione Europea è l’unica garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano volgersi su una pacifica cooperazione in attesa di un più lontano avvenire in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo…”3

“…Verrà un giorno in cui si vedrà come i due grandi gruppi di paesi,

gli Stati Uniti d’America e gli stati Uniti d’Europa […], si guarderanno in faccia, si porgeranno la mano attraverso i mari, scambieranno i loro prodotti, il loro commercio, le loro industrie, le loro arti, i loro geni …4

Oggi il nostro Presidente della Repubblica è andato significativamente a Ventotene dove l’importante documento fu stilato ottant’anni fa.

Rispondendo a una domanda a proposito dell’Europa e dei profughi Afghani ha detto con severità: “…C’è una cosa che sinceramente appare sconcertante: si registra, qua e là nell’Unione Europea, grande solidarietà nei confronti degli afghani che perdono libertà e diritti ma che rimangano lì, non vengano qui perché se venissero non gli accoglieremmo. Questo non è all’altezza del ruolo storico, dei valori dell’Europa verso l’Unione.”

La libertà delle donne Afghane è la nostra libertà”. È l’incipit dell’appello della manifestazione a Venezia di giovedì scorso, come in molte altre città.

In queste settimane è l’Afghanistan l’emergenza, in particolare le sue donne.

Non vogliamo più nessuna prossima guerra “locale”.

La conferenza delle donne del G20 ha lanciato da Santa Margherita ligure un messaggio di solidarietà con le donne Afghane: importante.

Nel G20 di settembre occorre però fare il punto sulla Risoluzione n. 1325 “Donne Pace e Sicurezza”, approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 31 ottobre del 2000. Quattro gli obiettivi: riconoscere il ruolo fondamentale delle donne nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, prevedere una maggiore partecipazione nei processi di mantenimento della pace e della sicurezza, adottare una “prospettiva di genere”, formare il personale sui diritti delle donne. Adottata dall’Italia 10 anni dopo e rinnovata due volte fino al 2019; non ci sono pare relazioni sui risultati.

L’Afghanistan oggi è un Paese che sta per precipitare di nuovo in una guerra civile. Gli Stati Uniti hanno speso complessivamente oltre 2 mila miliardi di dollari, l’Italia 8,5 miliardi di Euro. Se tutto questo denaro fosse andato al popolo Afghano il Paese oggi sarebbe molto diverso in termini di diritti e di condizioni di vita e l’Occidente non avrebbe perduto la sua credibilità. Invece sono le grandi industrie di armi gli unici soggetti che hanno fatto grandi guadagni economici, anche da questa guerra. È un problema molto serio questo della produzione di armi che va affrontato: verso la non proliferazione, scelta necessaria se vogliamo che l’Articolo 11 della nostra Costituzione sia rispettato e attuato “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà dei popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali: consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo .

Dobbiamo farlo agire in tutta la sua potente latitudine elaborando nuove culture per costruire la pace, cominciando a proporlo anche agli altri Paesi del G20.

1 Donne che corrono coi lupi – il mito della Donna Selvaggia, di Clarissa Pinkola Estés

2 da “Il mondo come io lo vedo”1931- una riflessione di Albert Einstein sulla crisi del 1929. È noto che la grande crisi del 1929 fu una delle cause della seconda guerra mondiale. Einstein non fu ascoltato.

3 Altiero Spinelli Eugenio Rossi Edmondo Colorno dal Manifesto di Ventotene 1941).

4 Victor Hugo 1849 intervenendo al Congresso internazionale per la pace a Parigi )


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