“L’Europa ha ignorato a lungo il deterioramento della situazione della sicurezza in Afghanistan. Ma ora che i talebani hanno preso il potere gli occidentali hanno la faccia tosta di mostrarsi sbalorditi. Questa ipocrisia deve finire”.
Yama Hasrat, 35 anni, la metà passata a raccontare il suo paese in una radio locale poi lavorando come fixer per giornalisti stranieri.
È a Kabul, dove è tornato nel 2012 nonostante avesse la possibilità di restare nel Regno Unito, a Londra, con una borsa di studio.
“Ho la nausea. Ma come fate a non indignarvi? Perché non scrivete in modo chiaro che è tutta colpa vostra, dell’Occidente, se l’orrore ci è di nuovo piombato in casa” mi vomita addosso nonostante il nostro legame, un’amicizia nata nella City quando negli anni 90 iniziava il mio periodo londinese e condividevamo la passione per il giornalismo. Abbiamo anche vissuto per qualche mese nello stesso appartamento.
lo lascio sfogare. Yama mi conosce.
In fondo sa che non userò mezzi termini nel definire l’atteggiamento di chi, in Europa come nel resto del blocco occidentale, in primis Stati Uniti, oggi manifesta sconcerto per la presa del potere da parte dei talebani.
Nel giro di pochi giorni dal ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan, sono cadute una provincia dopo l’altra.
Come un domino che non si poteva più fermare.
In migliaia hanno lasciato le loro case e si sono diretti verso quello che pensavano fosse l’unico rifugio sicuro: Kabul, la capitale afgana.
Ma era solo un’illusione.
Nel frattempo, il mondo è rimasto a guardare, impotente, mentre la Repubblica islamica dell’Afghanistan si trasformava in un emirato governato dai talebani.
Lo stato d’animo di Yama, rabbia, indignazione, schifo, è il mio.
E il pezzo che state leggendo è tutto ciò che scriverò su questo abominio, questo aborto di finta democratizzazione di un paese usato e gettato via dopo aver coperto gli interessi americani.
E non solo.
Provo dolore quasi fisico. Soprattutto nel pensare alle donne che negli ultimi anni si sono battute con veemenza per i propri diritti incoraggiate dalla prospettiva, un po’ troppo ottimistica, che la democrazia e lo stato di diritto avrebbero trionfato, che oggi sono destinate a essere respinte nell’oscurità in cui erano costrette prima del 2001.
Dopo venti anni di occupazione statunitense, di interventi militari e di cooperazione a uso e consumo di pochi potentati di ong e think thank che tutto hanno fatto tranne che lavorare concretamente per il futuro (possibile e solido) dell’Afghanistan siamo all’anno 0.
Invece di sostenere i signori della guerra e i politici corrotti negli ultimi anni, chi aveva la possibilità concreta di fare qualcosa avrebbe dovuto compiere sforzi concertati per comprendere e impegnarsi con il popolo afgano, valorizzando la sua cultura e la società. Avrebbero dovuto ascoltare gli avvertimenti delle donne invece di ingannarle con promesse senza senso. Piuttosto che aiutare a costruire un esercito, avrebbero dovuto aiutare il popolo afgano a costruire un futuro.
L’azione a singhiozzo di tanti paesi occidentali che invece di colmare i buchi dell’ignoranza e le distanze sociali tra i clan dei ricchi che si arricchivano sempre di più e le classi povere, che si sono moltiplicate, hanno usato toppe che si sono sfaldate alla prima nuova ventata del malcontento e della sete di potere degli emarginati.
I nuovi talebani non sono più in maggioranza studenti arrabbiati, ma disoccupati, ragazzi animati da odio e vendetta. Alcuni giovanissimi resi sempre più rancorosi dalle conseguenze inevitabili delle ipocrite, è indifferenti, ‘crociate’ per la democrazia.
L’Occidente non è riuscito a portare libertà e uguaglianza in Afghanistan, ma solo una nuova devastante guerra
La decisione degli USA di trattare con I talebani, che pur di raggiungere un simulacro di accordo per poter lasciare il pantano afgano con una parvenza di ‘successo’ ha acconsentito alla liberazione di 5000 miliziani dalle prigioni, ha portato alla situazione attuale che ha visto sbriciolarsi le municipalità democraticamente elette provincia dopo provincia e ha scatenato le ritorsioni dei talebano che hanno lasciato dietro di loro una scia di morte e devastazione mai viste prima.
Ciò che sta accadendo in Afghanistan, come ha ammesso il rappresentante speciale del Segretario generale dell’Onu per nel Paese, Deborah Lyons, richiama sempre più quanto avvenuto in Siria o a Sarajevo.
E ancora una volta un conato di vomito sale in gola al solo pensiero di quel ‘mai più’ risuonato tante volte nei palazzi del potere, da New York a Bruxelles.
“Sono stato inondato di chiamate e messaggi di amici e colleghi che esprimevano la loro solidarietà, ma sai che ti dico Antonella. Fanculo tutti. Perché noi che restiamo qui, perché non c’è posto altrove per noi, siamo in attesa di morire. Perché tutti coloro che hanno avuto anche solo un minimo contatto con gli occidentali non hanno speranze” sono le ultime parole di Yama prima di salutarci, entrambi in lacrime.
Lo ammetto.
Continuare a scrivere, questa volta, sembra non avere un senso.
Ma testimoniare è doveroso.