Il vecchio è usatissimo adagio “medico cura te stesso”, sparisce ancora una volta sotto la coltre di diverse polemiche per l’orrore afghano. Ma questo orrore non ha impedito a numerosi paesi intervenuti per un ventennio in Afganistan di dichiararlo “paese sicuro” al fine di non accogliere i profughi in fuga da quel Paese. Spendere abbondantemente più di un triliardo di dollari in uno dei Paesi più poveri del mondo per non avere risultati tangibili è un risultato così sconvolgente che indica in modo evidente la malattia, ma del medico.
Eppure tutti le analisi riguardano la malattia dei Talebani, che c’era prima dell’intervento e del triliardo speso. Eppure, in un mondo così attento all’effetto dei PNRR che si varano con investimenti giganteschi nel corso del tempo, il rapporto costi-benefici del PNRR tentato in Afghanistan viene fatto molto poco.
La spesa è stata concentrata quasi tutta sull’aspetto militare della missione, ma solo gli Stati Uniti hanno investito quasi 200 miliardi di dollari nel cosiddetto “sociale”. Anche vista così la questione cambia poco. Se ci si accorda con i talebani per il futuro afghano e poi ci si sorprende per il rapido sfaldamento dell’esercito qualcosa non va. Cosa doveva fare il milite? Restare a suo posto mentre tutti, anche chi lo aveva addestrato, si accordavano con gli altri? Doveva fare l’eroe? Se invece della sempre apprezzata “democrazia occidentale” si fosse avviato un processo di democrazia consociativa con l’Afghanistan delle tribù e delle etnie, e quindi con i Paesi più vicini a tante di quelle etnie da sempre reali e presenti o preoccupati delle interferenze sui propri confini, forse si sarebbe ottenuto qualcosa di più. Si è invece pensato di inserire elementi pashtun nell’esercito nazionale ma senza coinvolgere il loro gruppo etnico nella costruzione di un nuovo Afghanistan, mi pare. E’ anche per questo che l’esercito si è dissolto come neve al sole?
Molti dicono che l’intervento, nato male, è finito peggio. Ma non era il procedere con quel tipo di intervento che avrebbe risolto il problema. Era il concerto asiatico l’altra strada, a mio avviso, quella che un medico non malato avrebbe proposto. Con le potenze asiatiche che ci sono nella regione e le realtà etniche che ci sono in Afghanistan non poteva andar peggio di così. Dimenticarsi della realtà e sognarla ovunque occidentale è il vero scontro di civiltà che perde certe politiche. Ogni potenza asiatica voleva destabilizzare un protettorato americano, ma nessuna voleva crearsi un bubbone alle porte di casa. Quindi una politica inclusiva era possibile, sia con la Cina, che non vuole far contagiare il suo Xinjian popolato da musulmani uiguri, sia l’India, che sa che lo Stato Islamico nemico dei talebani vuole rendere insurrezionale il Kashmir, sia il Pakistan, che teme di perdere il controllo di Kabul, sia l’Iran, che non vuole altre stragi di bambini hazara, etnia sciita, come quelle effettuate dai nemici dei Talebani, lo Stato Islamico. Le condizioni per un concerto asiatico potevano esserci. Ma un medico che non crede nei concerti sbaglia ovunque, e attardarsi a chiedere che proceda con la sua ricetta sbagliata non aiuta gli afghani, né noi. Era andare avanti con lo stesso medico la soluzione? O non era la ricerca di un concerto asiatico, in cui magari svolgere il ruolo di honest broker tra le parti? In definitiva mi sembra che certi popoli non possano essere capiti se non si accetta che il mondo non è tutto uguale, e che quindi la logica da esportare è una: il benessere del tuo vicino è fondamento anche del tuo.
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