La Rai è in un delicato giro di boa, essendo cambiati i suoi vertici e – verosimilmente- alcuni almeno dei vecchi ingredienti. L’effetto Draghi si farà sentire, eccome. Altrimenti, sarà un’ennesima e forse definitiva fumata nera.
Ma, al di là dell’osservazione di contesto, di cui vedremo presto gli esiti, e in attesa che si metta finalmente mano ad una riforma seria, sarebbe importante che una luce si accendesse subito.
Per il Contratto di servizio che lega l’azienda allo stato, l’apparato pubblico ha l’obbligo di rappresentare fedelmente la realtà. Basti rileggere l’articolo 2 (comma 1, lettera a) del citato testo, che sottolinea come ciascuno abbia il dovere di formarsi autonomamente opinioni e idee. Ed ecco un’opportunità concreta.
Sono i giorni dell’anniversario delle terribili vicende del G8 di Genova del 2001. Sarebbe di straordinaria utilità, ai fini della comprensione di quella tragedia, la programmazione del film collettivo Un mondo diverso è possibile, coordinato da Citto Maselli, che ha lanciato la proposta su Facebook.
Fu una straordinaria esperienza cinematografica, capace di rilanciare la funzione originale e insostituibile del racconto filmico Anzi. Proprio a Genova prese piede un’attività di narrazione sul campo attraverso diverse modalità tecnologiche, come ben ha spiegato lo studioso Marco Bertozzi, autore di saggi e approfondimenti su quell’età di passaggio della e nella comunicazione. Ne parla oggi su Collettiva, il giornale online della Cgil. C’era Indymedia, lavorarono al centro stampa giornalisti e free lance in grado di utilizzare la forza della rete, ancora nella fase dell’innocenza. Arrivarono con passione civile registe e registi di riconosciuta notorietà.
Basti ricordare i nomi del collettivo: Alfredo Angeli, Giorgio Arlorio, Mario balsamo, Giuliana Berlinguer, Maurizio Carrassi, Guido Chiesa, Francesca Comencini, Massimo Felisatti, Nicolò Ferrari, Gianfranco Fiore, Massimiliano Franceschini, Andrea Frezza, Giuliana Gamba, Roberto Giannarelli, Franco Giraldi, Simona Izzo, Wilma Labate, Salvatore Maira, Francesco Ranieri Martinotti, Francesco Maselli, Mario Monicelli, Paolo Pietrangeli, Gillo Pontecorvo, Nino Russo, Gabriele Salvatores, Massimo sani, Stefano Scialotti, Pasquale Scimeca, Ettore Scola, Daniele Segre, Carola Spadoni, Sergio Spina, Ricky Tognazzi, Fulvio Wetzl.
Come si vede, una grande parte della cultura italiana si trovò a documentare avvenimenti che avrebbero costituito un pezzo di storia.
Perché, allora, non far conoscere al vasto pubblico televisivo un materiale così significativo?
Un gesto di apertura, di ricongiunzione con un mondo autoriale troppe volte negletto, avrebbe un forte valore in sé, dato l’argomento trattato. E acquisterebbe pure un significato simbolico, sintomo e presagio di una Rai che riprenderebbe le sembianze di un servizio pubblico e non di un’emittente privata controllata dal ministero dell’economia.
Vi sono, poi, altri titoli, come Carlo Giuliani ragazzo di Francesca Comencini (musiche di Ennio Morricone), dedicato ad un giovane ucciso drammaticamente in scontri orribili che incombono tuttora come un fantasma sul nostro immaginario. La terribile vicenda umana di Carlo Giuliani, vittima tra le vittime di una generazione emarginata dal neoliberismo imperante, ci rammenta che siamo ancora lì.
La narrazione cinematografica ci restituisce con forza ineguagliabile il sapore amaro della realtà. Costringe a rivedere e a rivederci.
In una stagione culturalmente leggerissima, dominata da social ed algoritmi, la profondità della macchina da presa dà uno schiaffo salutare.
Risponderà la Rai a simile appello lanciato da Citto Maselli e ripreso, tra gli altri, da Rifondazione comunista e dall’associazione Articolo21? Sono solo prime adesioni, visto che sicuramente altre si uniranno, essendo simile iniziativa per sua natura aperta e unitaria.
PS. Nella scorsa puntata della rubrica si era denunciato un emendamento presentato ad uno dei decreti dal gruppo di Italia Viva, teso ad innalzare i limiti di legge dell’inquinamento elettromagnetico. Il testo è stato bocciato. Ogni tanto può anche andar bene.