Quando il cinema rende omaggio a un’altra arte, alla musica, in questo caso al jazz, ci sembra sempre che questo scambio arricchisca entrambi i linguaggi; ci sembra sempre un’operazione importante, giusta, lodevole.
Succede con il film di Lamberto Sanfelice, Futura, in uscita nelle sale, che è un piccolo spaccato realistico sul mondo dei musicisti oggi, in un contesto amaro, sporco, violento.
Un taxi nella notte a Milano, un autista porta in giro una donna, un trans, Lucya, a raccogliere guadagni illeciti; trascina con sé il trauma di un rapporto irrisolto con il padre, trascura la moglie e la figlia, in un perenne senso di frustrazione.
Il tassista è Louis (interpretato da Niels Schneider), un jazzista di talento con un sogno messo da parte ma mai del tutto sopito: quello di suonare in un gruppo, esibirsi con la sua tromba e vivere di questo. Suona sul taxi, durante le pause e le attese, anche se il mondo marcio nel quale è entrato è più grande di lui, non lo lascerà fuggire, se non a caro prezzo.
Ogni personaggio del film ha un sogno o un’ambizione: Louis vuole suonare, Valentina, la moglie (interpretata da Matilde Gioli) vuole recuperare il suo matrimonio, la piccola Anita cerca in tutti i modi il contatto col padre, proprio fisico e affettivo. Anche Lucya (Daniela Vega), arrivata molti anni prima a Milano dal Cile, sognava l’Opera lirica, voleva vedere La Scala, e adesso si esibisce in squallidi pub notturni cantando arrangiamenti tecno di Puccini.
La musica è il collante di tutta la storia, dal jazz – assolutamente protagonista – alla lirica, alla tecno.
Il messaggio valido del film è che la musica può salvare l’anima, può risvegliare i sogni sopiti, può dare la forza di cambiare se non il mondo almeno se stessi, può ricostruire un’idea di futuro. Può farci sperare di rivedere ancora un bel dì.
Il film di Sanfelice è costruito tecnicamente in maniera molto moderna, secondo il gusto di certe serie televisive, con la narrazione spezzata e quasi sincopata, arricchita da un montaggio molto veloce e da una fotografia attenta ai particolari. Questo il punto di forza del film, ma anche di debolezza.
Il vero punto di forza è la partecipazione straordinaria di due esponenti di spicco del jazz italiano e internazionale, Stefano Di Battista ed Enrico Rava, autori anche delle musiche originali del film insieme a Lorenzo Cosi e Giovanni Damiani, che interpretano se stessi, cioè due jazzisti bravi, appassionati, che usano lo strumento come fosse parte del loro corpo e limano continuamente il loro talento con lo studio e l’improvvisazione.
E’ il jazz il vero protagonista del film, insieme a Milano, una Milano non più patinata, non più edonistica ma ancora di una struggente, perché decadente, bellezza.