BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Tina Anselmi partigiana della democrazia

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L’appuntamento di questo mese della nostra rubrica “Dalla parte di Lei” è ancora dedicato a Tina Anselmi come vi abbiamo anticipato l’ultimo lunedì di giugno raccontando Tina da Presidente della commissione d’inchiesta sulla loggia segreta massonica P2. Una donna importante della politica italiana della prima Repubblica. Ha fatto tanto per questo Paese e, in particolare per l’emancipazione e la libertà di tutte le donne. Una donna che è stata partigiana, “Gabriella” il suo nome in codice. La prima donna ministro, protagonista generosa appassionata intelligente di anni straordinari ma anche terribili. Ve la raccontiamo attraverso sue testimonianze dirette, utilizzando in parte un libro-intervista curato da Anna Vinci uscito nel 2016, e il dialogo con una immaginaria nipotina a cui Tina Anselmi racconta la sua Resistenza.

Adriana Chemello è stata docente di Letteratura Italiana e Letteratura e studi di genere presso il Dipartimento di Studi linguistici e letterari dell’Università di Padova. Fa parte della Società Italiana delle Letterate, di cui è stata anche presidente; collabora con diverse riviste tra cui “Leggendaria”.

Tina Anselmi nasce il 25 marzo del 1927 a Castelfranco Veneto (TV), da Norma Ongarato e Ferruccio, una famiglia di origini contadine e di fede cattolica, dove il padre, per le sue idee socialiste, è spesso preso di mira dai fascisti locali. Tina respira in famiglia un’avversione, seppur tacita, verso il nazifascismo. Figura chiave è per lei la nonna materna Maria Bendo, una donna forte con alle spalle una vita difficile. Adolescente, si interroga assieme alla sorella Isa sull’improvviso allontanamento dalla scuola di due loro coetanee, dai nomi esotici ed affascinanti, Esther e Ruth, escluse dalle aule scolastiche in seguito alle leggi razziali del 1938. Si meravigliano della risposta della domestica che spiega l’assenza dalla scuola “perché sono ebree”, e ingenuamente commentano: “non sarà mica una malattia infettiva essere ebree”.

Per un breve periodo si trasferisce con la madre e una zia in Piemonte. Al suo rientro in Veneto frequenta il Ginnasio a Castelfranco e poi l’Istituto magistrale a Bassano del Grappa. Negli stessi anni si avvicina alla Gioventù femminile dell’Azione cattolica che risulta essere un incontro determinante per la sua formazione.

Tina è una studentessa diciassettenne dell’Istituto magistrale quando il 26 settembre 1944 viene costretta con i suoi compagni di classe ad assistere, dopo un furioso rastrellamento tedesco nella zona, all’impiccagione di 31 giovani antifascisti lungo un viale alberato di Bassano. Tina non dimenticherà mai, come ha raccontato Monica Andolfatto lo scorso 25 aprile per “Articolo21”.

Una scena terribile, che suscita in lei una risposta immediata: non si può restare spettatori della violenza dei nazifascisti senza tradire i valori della libertà e della pace. Di fronte alla morte di quei giovani, Tina non si lascia intimidire, non sceglie di rifugiarsi nella paura, ma sceglie i monti e la bicicletta della staffetta. Non a caso il suo racconto autobiografico prende sempre le mosse dall’esperienza di staffetta partigiana, che si rivelerà una preziosa fonte di insegnamenti, una vera e propria scuola di vita: quella e il successivo impegno a sostegno delle operaie delle filande in Veneto, la porteranno a maturare l’interesse per l’attività politica, in particolare per le questioni femminili e sociali.

Il cattolicesimo popolare della madre e della nonna, l’antifascismo militante del padre e l’umanità di alcuni sacerdoti con i quali era entrata in contatto, perché avevano costruito una rete di aiuto ai partigiani, costituiscono la spinta ad avvicinarsi e ad entrare nella Resistenza.

Viene introdotta da Marcella Dallan, socia della Gioventù Femminile dell’Azione Cattolica, nel battaglione “Bruno Lorenzoni” e prende il nome di battaglia Gabriella, ispirandosi all’Arcangelo Gabriele che, secondo la tradizione cristiana, è il protettore dei messaggeri e quindi in senso lato anche delle “staffette” partigiane che portano messaggi di pace. In quegli anni conosce Domenico Sartor che sarà poi eletto nella Costituente e viene in contatto con diversi intellettuali anche francesi.

In un libretto dal titolo La Gabriella in bicicletta. La mia Resistenza raccontata ai ragazzi (con Introduzione di Laura Boldrini, S. Cesario di Lecce, Manni, 2019), Tina racconta ad una immaginaria nipote la sua esperienza partigiana, e sottolinea che: “le donne nella guerra partigiana sono state fondamentali. Io dico che la qualità della politica sarebbe migliore se ci fossero più donne accanto agli uomini a gestire i problemi del Paese”. Alla domanda se c’erano molte donne nella Resistenza, Tina risponde: “Abbiamo affermato questo valore della pace che si coglie leggendo le lettere dei condannati a morte, non c’è l’odio, non c’è una volontà di vendetta, di rivalsa. Quando noi abbiamo combattuto con le forze partigiane abbiamo combattuto per conquistare la pace”. E aggiunge: “Dobbiamo non perdere la memoria di quello che è avvenuto, di quello che abbiamo pagato perché la storia si ripete, non c’è niente e nessuno che ci possa salvare quel giorno in cui noi questa storia la tradissimo proprio nella memoria”.

Gli anni della Resistenza sono quelli in cui si confronta con la condizione operaia, in particolare la condizione delle donne operaie e comincia a prendere forma il suo impegno sindacale. Conosce, tra gli altri, Monsignor Luigi Piovesana, teorico della dottrina sociale della Chiesa.

Dopo la Liberazione, decide di frequentare l’Università e si iscrive alla facoltà di lettere dell’Università cattolica del Sacro Cuore a Milano.

Con il diritto di voto che le donne esercitano per la prima volta in occasione del referendum istituzionale e dell’elezione dell’Assemblea Costituente del 2 giugno 1946, si intravede per la prima volta una coralità femminile sulla scena pubblica con l’elezione delle “21 madri costituenti” che prefigurano una cittadinanza politica attiva anche per le donne.

Tina partecipa attivamente al referendum Monarchia/Repubblica e alle elezioni per la Costituente, schierandosi con la Democrazia Cristiana. Cerca di convincere le donne venete ad andare a votare, anche se lei, per ragioni anagrafiche, non avrà la soddisfazione di esercitare questo diritto.

Già dal dicembre 1944 si iscrive alla DC ed esercita la sua cittadinanza attiva, impegnandosi soprattutto sulla questione femminile, a cui affianca una particolare attenzione ai problemi del lavoro, soprattutto quello delle donne. Si impegna nell’attività sindacale per la CGIL unitaria prima e, dal 1950, per la CISL. I suoi ambiti d’azione sono soprattutto il tessile e l’istruzione, in un territorio, quello veneto, ancora profondamente contadino e con ampie sacche di disoccupazione.

Continua il suo impegno sindacale fino al 1955, quando abbandona sia l’insegnamento che il lavoro nel sindacato per dedicarsi a tempo pieno alla politica. Nel 1958 viene eletta delegata nazionale delle giovani donne della DC e, in tale veste, partecipa al dibattito nazionale sulla legge Merlin, spostandosi sempre più spesso dal suo Veneto verso Roma.

Nel libro intervista curato da Anna Vinci, Storia di una passione politica (prefazione Dacia Maraini, Milano, Sperling & Kupfer, 2016) Tina Anselmi narra la sua scelta di scendere in campo e di mettersi nel mondo. Sulla scena pubblica la sua figura ha due punti di forza irrinunciabili: un impegno civile maturato e cresciuto nei durissimi mesi della lotta per la liberazione e per la difesa dei valori democratici di libertà e giustizia; e l’infaticabile lavoro politico del primo Ministro-donna a favore delle donne, che diventa quasi la sua missione etica.

La sua è una figura politica di primo piano nella storia dell’Italia tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta: straordinari e terribili insieme.

Il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro: l’atto più grave dal punto vista umano e di attacco alla nostra Repubblica. Una prova drammatica per Tina Anselmi: perché era stata allieva e anche amica di Aldo Moro; perché venne chiamata a fare da tramite tra la famiglia e la Democrazia Cristiana. Accetterà forse anche per questo l’incarico di presiedere la Commissione d’inchiesta sulla P2 (affidatole il 23 settembre del 1981 da Nilde Iotti Presidente della Camera dei Deputati d’accordo con Sandro Pertini Presidente della Repubblica. Si veda “Tina Anselmi Una donna senza macchia senza paura pubblicato lunedì 26 giugno us).

Passata agli Annali della storia come la prima donna italiana chiamata a fare il Ministro, dopo 836 ministri uomini che si erano avvicendati in trentasei governi della Repubblica, le viene affidato il Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale nel terzo governo Andreotti. Presta giuramento il 30 luglio 1976, davanti al Presidente della Repubblica Giovanni Leone, e da quel momento scrive pagine importantissime soprattutto per la storia delle donne e per il miglioramento delle loro condizioni di vita. Possiamo dire che la sua azione politica, nutrita di impegno civile e di passione etica, attenta soprattutto ai problemi sociali, condotta con una profonda fedeltà ai propri valori e al suo essere donna, ha lasciato alle donne italiane una grande eredità da far fruttare.

Viene eletta alla Camera dei Deputati per la prima volta il 19 maggio 1968. Ci rimarrà per ben sei legislature fino al 1992, quando si ritira definitivamente dalla vita parlamentare.

In Parlamento si impegna fin da subito nelle commissioni Lavoro e previdenza sociale, Igiene e sanità, Affari sociali. Dal 1974 al 1976 è nominata sottosegretaria al Lavoro in tre successivi governi. Il decennio 1970-1980 è quello in cui raggiunge l’apice del suo impegno parlamentare e di governo. È impegnata ad affrontare i nodi cruciali della questione femminile, a partire dal referendum sul divorzio del maggio 1974, quando si trova a vivere una profonda lacerazione tra l’appartenenza ad un partito d’ispirazione cattolica, contrario al divorzio, e il suo essere donna.

Ma è il 1975 l’anno che la proietta su uno scenario internazionale, quando guida la delegazione italiana alla World Conference on Women, promossa dall’ONU e tenutasi a Città del Messico dal 19 giugno al 2 luglio, nell’anno che la stessa ONU aveva proclamato International Women’s Year, ad apertura del decennio 1975/1985 dedicato alle donne.

Il 27 febbraio 1975, prima di partire per Città del Messico, nell’ambito delle manifestazioni promosse dal Comitato Italiano per l’Anno della Donna, di cui era Presidente, Tina Anselmi tiene una conferenza a Roma presso il Centro italiano di studi per la conciliazione internazionale, in cui spiega gli scopi dell’iniziativa dell’ONU, richiamando direttamente il problema della condizione femminile in Italia. Per Anselmi, il riconoscimento del diritto di voto alle donne ha rappresentato la pietra miliare per il “ritorno dell’Italia alla democrazia”. Ribadisce che la condizione femminile e questione del lavoro sono strettamente interconnesse, come si evidenzia dalla “scarsità di dirigenza femminile in settori che interessano particolarmente la donna”, nella fattispecie la scuola e il settore tessile. Nel discorso che riecheggia la lunga attività di sindacalista tra le donne venete, denuncia la “poco numerosa presenza della donna ai livelli decisionali”, e rimarca un profondo sbilanciamento nelle rappresentanze: “Come controparte, anche stasera, quando andrò via di qua, ho quasi sempre uomini, anche quando si tratta di gestire realtà di lavoro largamente femminili”. Nel contempo Anselmi sottolinea con un certo orgoglio i meriti della legislazione italiana impegnata ad eliminare la discriminazione tra uomo e donna. In quel discorso riaffiorano i sigilli autobiografici del suo impegno dirigenziale nella DC: la legge Merlin, la lotta all’analfabetismo femminile, al lavoro a domicilio, fino al diritto di famiglia, allora in discussione in Parlamento. Quel discorso sintetizza con lucidità il programma della futura Ministra del Lavoro, consapevole che la questione femminile non può essere ridotta a “questione di donna”, bensì deve coinvolgere “la responsabilità di tutta la società”.

È su queste premesse che il 21 gennaio 1977, il Ministro del Lavoro Tina Anselmi presenta la legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro (legge 903/1977), facendo riferimento a due direttive della Comunità Economica Europea, rispettivamente del 10 febbraio 1975 e del 9 febbraio 1976. Una legge che ha tre capisaldi: la centralità della questione femminile, il contesto europeo e il richiamo alla Carta costituzionale che sancisce il “principio di perfetta eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di sesso”, meglio esplicitato nell’art. 4 (“diritto al lavoro”) e nell’art. 37 (“la donna lavoratrice”). Presentando alla Camera il suo progetto di legge, Anselmi descrive uno spaccato realistico del mondo del lavoro femminile che conosce bene per averne condiviso a lungo speranze e disillusioni. Infatti la legge non si occupa solo di lavoro, bensì prefigura tutti quei servizi sociali “atti a migliorare la qualità della vita” e a “consentire una reale conciliazione tra compiti familiari e quelli di lavoro”, vale a dire il riconoscimento del lavoro di cura svolto dalla donna.

In tutte le leggi a cui lega il suo nome, Tina Anselmi porta il bagaglio della propria esperienza personale, associato alla convinzione che “la democrazia non è un sistema politico in cui ci si adagia: dobbiamo sceglierla ogni giorno”. Pensiamo alla legge 194/1978 sul “valore sociale della maternità e l’interruzione volontaria di gravidanza”, che reca la sua firma come Ministro della Sanità, mostrando un alto senso delle istituzioni e un profondo rispetto per la laicità dello Stato. Altra legge inscindibilmente legata a lei è la 833/1978 che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale e, nello stesso anno, la famosa legge Basaglia (la 180/1978) sulla chiusura dei manicomi/carcere, con le “Norme per accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori per le malattie mentali”. Ma non dimentichiamo che fu tra le proponenti della “clausola di genere” nelle leggi elettorali, in vario modo declinata, a partire dal 1993, che segnò un aumento della presenza femminile negli scranni del Parlamento.

A pochi giorni dalla scomparsa (era mancata il 1° novembre 2016), Pia Elda Locatelli la ricorda alla Camera come “esempio concreto di come le donne in politica possano fare la differenza”.

Le donne elette in Parlamento in quel decennio “rivoluzionario” (1970-1980), che segnò una svolta epocale per la storia della nostra Repubblica, pur non molto numerose, hanno saputo fare la differenza, stabilendo una relazione virtuosa tra le donne nelle istituzioni, superando le rigidità e gli steccati dei partiti tenacemente diretti da uomini. Ma le parlamentari di quegli anni, pur con le asprezze e le conflittualità che a tratti ne caratterizzarono i rapporti, hanno saputo ascoltare e accogliere le sollecitazioni provenienti dai movimenti femminili e femministi che, per la prima volta nella storia riempivano le piazze d’Italia, dando un contribuito, anch’esso determinante, alla conquista di questa legislazione.

Concludiamo con un pensiero di Tina Anselmi che oltre ad essere condivisibile è un invito forte, un’apertura verso il futuro e la speranza: “La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati, attraverso la responsabilità di tutto un popolo. Dovremmo riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. È giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace”.

Nella titolazione di questo contributo abbiamo intenzionalmente ripreso il titolo del convegno organizzato dalla Fondazione ‘Nilde Iotti’, il 26 ottobre 2017, ad un anno dalla sua scomparsa: Tina Anselmi Partigiana della democrazia, che sintetizza con efficacia l’immagine pubblica di questa “madre della Repubblica”.

 


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