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Terzo compleanno in carcere per Julian Assange

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‘Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata all’ombra della legge e nel nome della giustizia’, scrisse Montesquieu nelle sue Considerazioni sulle cause della grandezza e decadenza dei Romani. Chissà quali sarebbero state le considerazioni del grande giurista e filosofo, teorico della separazione dei poteri, sulla prigionia infinita di Assange, e sul lungo processo che lo vede ancora coinvolto.

Lo scorso 7 luglio, la High Court del Regno Unito ha reso noto alle parti in causa la decisione di concedere l’autorizzazione all’appello dei procuratori americani contro la sentenza di primo grado del 4 gennaio. 

L’appello è stato concesso su base limitata. Questo significa che non tutti gli aspetti della sentenza dello scorso 4 gennaio sono in appello. Secondo l’avvocata e compagna di Assange, Stella Moris, la High Court avrebbe respinto i tentativi del governo americano di “mettere in dubbio le conclusioni dei magistrati riguardanti le prove mediche e degli esperti”.

Nella sentenza di primo appello, la giudice Baraitser aveva infatti negato l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti per ragioni umanitarie sulla base delle delicate condizioni di salute di Assange, il rischio suicidio e le condizioni nelle carceri statunitensi.

Dettagli delle proposte fatte alle autorità britanniche sono emersi dopo che  è stato concesso agli Stati Uniti il permesso di appellarsi contro la sentenza di gennaio.

“Questi includono assicurazioni che ad Assange, se condannato in relazione alle accuse di presunto spionaggio e hacking, sarebbe permesso di scontare qualsiasi periodo di carcere nella sua nativa Australia”, scrive il Guardian.

Stella Moris ha definito  “grossolanamente fuorvianti” queste proposte degli Stati Uniti, e “una formula per tenere Julian in prigione effettivamente per il resto della sua vita”.

Stella Moris ha inoltre ricordato che il suo compagno “sta molto male” e che proprio il giorno prima, un altro detenuto a Belmarsh si era tolto la vita. 

Parlamentari inglesi, tedeschi, islandesi e australiani hanno presentato mozioni per sollecitare il Presidente Biden a far cadere le accuse contro il fondatore di Wikielaks. In Italia, lo scorso 14 giugno i parlamentari de L’Alternativa c’è hanno presentato una mozione per concedere lo status di rifugiato politico a Julian Assange.  

“Ad Assange bisogna riconoscere lo status di rifugiato politico e la protezione internazionale, in virtù delle riconosciute e accettate disposizioni internazionali sul diritto d’asilo”, ha dichiarato Pino Cabras, deputato di Alternativa c’è.

La discussione di questa mozione è stata tuttavia rimandata ben tre volte. “Per una eterogenesi dei fini TUTTI i partiti di maggioranza e di sedicente opposizione hanno deciso di non decidere, hanno deciso di non parlare di Assange. Preferiscono l’oblio”, ha scritto Pino Cabras.

Il 3 luglio, in occasione del 50 compleanno di Julian Assange, il gruppo ‘Italiani per Assange’ ha organizzato un sit-in in Piazza Trilussa a Roma. Da un microfono posto al centro della piazza, voci del mondo della politica e del giornalismo hanno ricordato l’importanza del caso che vede coinvolto il fondatore di Wikileaks, affrontando i diversi aspetti di questo caso così complesso: la libertà di stampa, il giornalismo, i diritti umani e lo stato di diritto.

Presente Pino Cabras, che ha ricordato che stiamo assistendo a una “crisi drammatica della percezione drammatica della visione di sé dell’Occidente”.  Un Occidente che, in questo momento, si troverebbe a “un bivio”, poiché l’incriminazione di Julian Assange minaccia gravemente la qualità della democrazia. Cabras racconta che il giorno in cui si sarebbe dovuta discutere la mozione su Assange, in parlamento si è discussa una mozione sul riconoscimento del ruolo di Cristoforo Colombo nel mondo.

Massimo Baroni, anch’egli parlamentare de l’Alternativa c’è e fondatore del canale Telegram “Edward Snowden” ha ricordato come Julian Assange ed Edward Snowden abbiano capito e abbiano voluto tirarsi fuori da un “sistema permanente in conflitto di interessi” che fa degradare i sistemi dei media, dell’informazione del mainstream occidentale. “Una vita basata sulla cultura dell’indagine è  una vita spirituale. È una vita in cui la persona cerca di crescere i propri figli alla ricerca della verità”, ha dichiarato Baroni.

Marco Rizzo, Segretario nazionale del Partito Comunista, sottolinea i “due pesi e due misure”, gli standards diversi cui l’opinione pubblica italiana,  europea e mondiale viene sottoposta rispetto ai fatti che accadono: se un certo fatto accade in una determinata parte del mondo, sia questa la Biellorussia, la Russia, o l’Arabia Saudita, questo viene catalogato e divulgato in modo diverso rispetto alle vicende che avvengono in altre parti del mondo.  Se un giornalista come Julian Assange dimostra, con le prove, le nefandezze del imperialismo, questi viene non solo catalogo diversamente, ma anche messo alla gogna, incarcerato, e cancellato dall’opinione pubblica internazionale”.

“Si tratta di libertà di informazione, di diritto di cronaca sacrosanto”, ha ricordato Vincenzo Vita. Una “premonizione, un brivido lungo la schiena” –così la descrive Vita–  che la vicenda di Assange possa essere una prova generale di una “nuova stagione che sembra permearsi di un nuovo autoritarismo, di un pensiero unico, di un regime che non può tollerare né il quarto, né il quinto potere”. Il caso di Assange appare dunque come una “spia”, un “indice” di un pezzo della democrazia che sta venendo meno. E non ci può essere silenzio; quel silenzio di chi magari si pentirà, conclude Vita, “di non aver visto e capito”.

Fulvio Grimaldi ci ha ricordato come crolli “tutta l’impalcatura dell’accusa ad Assange” dopo che Thordarson, testimone chiave nel processo ad Assange, ha recentemente dichiarato al quotidiano islandese Stundin di aver fabbricato accuse contro Julian Assange. Notizia che, purtroppo, non è stata vista nei telegiornali italiani. “Non è un’informazione quella nel nostro Paese”, ha dichiarato Grimaldi, ma una “comunicazione”. 

Presenti al sit-in anche Moni Ovadia e Alessandro di Battista, che hanno inviato un videomessaggio in supporto a Julian Assange, e la giornalista investigativa Stefania Maurizi, che ha inviato un intervento scritto.

È stato un ennesimo compleanno amaro per Julian Assange che, dopo aver passato circa sette anni confinato in 18 metri quadrati in un’ambasciata al centro di Londra, senza neanche un’ora d’aria al giorno, è attualmente rinchiuso in un carcere di massima sicurezza. Non è stata un’occasione di festa dunque, ma un’occasione per ricordare che la sua battaglia è la battaglia di noi tutti.

Una battaglia di Davide e Golia, di fronte alla quale ci sentiamo impotenti. Eppure, come ci ha ricordato una portavoce del gruppo Italiani per Assange, se piccolissime variazioni possono produrre grandi variazioni nel comportamento successivo di un determinato sistema, così un gruppo di cittadini può, a tutti gli effetti, “stravolgere il corso della storia”. 

Simbolica la scelta della piazza. Il microfono era rivolto verso la scalinata, in cima alla quale si trova una statua di bronzo del poeta Trilussa, con accanto una sua poesia:

“Mentre me leggo er solito giornale spaparacchiato all’ombra d’un pajaro, vedo un porco e je dico: – Addio, majale! vedo un ciuccio e je dico: – Addio, somaro! Forse ‘ste bestie nun me capiranno, ma provo armeno la soddisfazzione de poté dì le cose come stanno senza paura de finì in priggione”


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