Meno modelli, meno produzione, meno occupazione. Annaspano le fabbriche italiane Stellantis, un tempo Fca. Il prosciugamento è stato continuo. Gli ultimi modelli a uscire di produzione sono stati Fiat Punto, Mito e Giulietta, due auto dell’Alfa Romeo. In precedenza erano state cancellate una decina di vetture.
Una sola grande buona notizia, la produzione della 500 elettrica a Mirafiori dal 2020, quando ancora regnava Fiat Chrysler Automobiles. Ma, ovviamente, non è bastato: i ritardi e i mancati investimenti hanno causato un drastico calo delle vendite e della produzione in tutta Italia, ulteriormente aggravata dalla crisi economica causata dal Covid. Di qui il ricorso alla cassa integrazione generalizzata in tutti gli impianti della Penisola. Nella provincia di Torino 800 dipendenti di Stellantis lasceranno l’azienda con degli incentivi verso la pensione, sulla base di un accordo con i sindacati. Non si tratta di licenziamenti ma è comunque un brutto colpo per Torino già prostrata da una moria di impianti industriali un tempo gloriosi.
Carlos Tavares e John Elkann a gennaio 2021, quando nacque il nuovo colosso automobilistico dalla fusione tra Fca e Psa, assicurarono: nessuna chiusura di stabilimenti. L’amministratore delegato di Stellantis garantì l’applicazione del piano d’investimenti di Fca per oltre 5 miliardi di euro negli impianti italiani. Anzi, Tavares tranquillizzò i sindacati annunciando: nessun rischio, per l’Italia Stellantis «farà da scudo, da protezione per alcuni stabilimenti». In particolare si riferì all’Alfa Romeo e alla Maserati, due marchi prestigiosi ma in fortissima difficoltà, con una pesante caduta delle vendite delle auto prodotte a Mirafiori, Grugliasco e Cassino.
Ma gli investimenti per i nuovi modelli e per i restyling diretti a dare lavoro alle fabbriche italiane Stellantis, già in grave ritardo nell’era Fiat Chrysler Automobiles, in gran parte ancora non si sono visti. Manca un piano industriale per l’Italia, per stabilire cosa, come e quanto produrre.
Sergio Marchionne, il salvatore della Fiat e della Chrysler, l’autore dell’acquisto del gruppo americano in bancarotta, immaginò un “polo del lusso” composto da Maserati ed Alfa Romeo (Ferrari fu scorporata dal Lingotto) per dare lavoro agli stabilimenti italiani. Anzi, aggiunse anche le Jeep (prodotte a Melfi) per garantire la piena occupazione. Ma l’amministratore delegato di Fca morì improvvisamente il 25 luglio 2018, giusto tre anni fa. I nuovi modelli Maserati e Alfa nella maggioranza dei casi non arrivarono più, gli stabilimenti di Mirafiori, Grugliasco e Cassino cominciarono ad affondare nella cassa integrazione.
L’Italia ha rischiato perfino di perdere in favore della Spagna l’impianto di batterie destinato alle nuove auto con motore elettrico. Tavares, dopo la scelta di costruire i primi due stabilimenti di batterie in Francia e Germania, alla fine ha optato per dislocare la terza gigafactory in Italia. I finanziamenti pubblici messi sul tavolo dal governo Draghi alla fine l’hanno convinto, ma Tavares ha deciso d’investire a Termoli e non a Torino, nella più quotata Mirafiori. La scelta dell’amministratore delegato di Stellantis sembra caduta su Termoli perché, grazie ai fondi europei attivati dal Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr), l’impianto situato nel Mezzogiorno d’Italia godrebbe di maggiori incentivi finanziari.
È stato un brutto colpo per Mirafiori (che già fabbrica la 500 elettrica) e per Torino, dotata di grandi capacità industriali e di alte competenze tecnologiche. «È stata una delusione, una grossa delusione», ha commentato il segretario della Fiom piemontese Giorgio Airaudo critico con il governo Draghi e con John Elkann. Il presidente di Stellantis ha più volte proclamato la volontà di non voler abbandonare l’Italia e, in particolare Torino, la culla della Fiat. Il nipote di Gianni Agnelli lo scorso marzo assicurò a Porta a Porta su Rai1: «Torino costituisce una parte molto importante del gruppo. Di più: quale componente di un grande gruppo, ha anche maggiori possibilità».
Invece Torino finora non ha visto «maggiori possibilità» ma una penalizzazione e un taglio dell’occupazione. Ma tutte le fabbriche italiane Stellantis vivono una situazione di grande difficoltà: ritardano gli investimenti e i nuovi modelli mentre Peugeot e Citroen vanno a gonfie vele. Gli uffici di Tavares sono a Parigi, la testa e il cuore della multinazionale italofrancoamericana è lì, e sembra regnare una supremazia francese sul gruppo. Alle fabbriche italiane Stellantis potrebbe toccare la stessa sorte di quelle tedesche della Opel: hanno perso circa un terzo dell’occupazione dal 2017, dopo la vendita del marchio al gruppo Peugeot.