Sono passati 65 mesi, quasi 2000 giorni, da quando è stato ritrovato il corpo senza vita di Giulio Regeni. Sono passati 16 mesi, più di 500 giorni, da quando Patrick Zaki è stato arrestato all’aeroporto del Cairo.
Giulio era un cittadino italiano, un ricercatore inviato dall’Università di Cambridge: aveva 28 anni e non è morto accidentalmente, è stato torturato e barbaramente ucciso.
Patrick è un cittadino egiziano, studente all’Università di Bologna: ha 30 anni ed è detenuto a causa del suo attivismo e dei suoi post su Facebook; è stato torturato e picchiato e soffre di terribili dolori alla schiena e di asma aggravato dal Covid.
Il Governo italiano, muto rispetto alla richiesta di verità e giustizia per Giulio Regeni, parla con le autorità egiziane, che non solo non collaborano, ma addirittura si prendono gioco della giustizia italiana. E parla non per denunciare la violazione dei diritti umani, ma per intensificare i flussi turistici. Giovedì 1° luglio il ministro del Turismo, il leghista Massimo Garavaglia, ha incontrato a Roma l’ambasciatore della Repubblica d’Egitto Hisham Mohamed Moustafa Badr, che lo ha invitato a visitare l’Egitto, precisando che l’area di Sharm El Sheik è covid free.
Non c’è più il virus, ma non ci sono ancora i diritti umani: per questo un incontro di questo tipo è vergognoso. È uno sfregio alla memoria di Giulio, uno schiaffo alla sua famiglia e a quanti da più di cinque anni si battono per non spegnere i riflettori, un insulto a Patrick, imprigionato senza ragione e senza processo.
Fortunatamente il popolo giallo non si ferma e non arretra di un millimetro: anche il Festival Vicino/Lontano, andato in scena a Udine dal 30 giugno al 4 luglio, si è colorato di giallo facendo risuonare la richiesta di verità e giustizia per Giulio Regeni e per tutti i Giulio e le Giulia del mondo e ospitando anche quest’anno in prima fila la sagoma di Patrick Zaki, che ne chiedeva la liberazione. Ma anche promuovendo il progetto editoriale dei “Diari dal carcere” di Sepideh Gholian, pubblicati per i tipi di Gaspari editore con il patrocinio di Amnesty International Italia. Sepideh Gholian è una giovane giornalista freelance iraniana, che nell’autunno del 2018 ha documentato la mobilitazione del sindacato dei lavoratori della raffineria di zucchero Haft Tappeh e che per questo sta scontando una pena detentiva nella prigione di Bushehr. La sua storia è l’ulteriore conferma di come in troppi Paesi la libertà di pensiero viene punita con il carcere e la tortura. E di come non si possa, neanche per un attimo, abbassare la guardia nella richiesta di verità e giustizia.