La scomparsa di Raffaella Carrà ci dà uno strattone. Ci avverte che una stagione della televisione generalista sta arrivando al capolinea.
Artista poliedrica, fattasi da sé con studio e fatica fino a diventare maestra di tante e tanti più giovani colleghe e colleghi, lascia obiettivamente un vuoto. Con stile e ironia è stata, infatti, il simbolo stesso del varietà. Quel particolare genere della cultura di massa che unisce, quando è di livello, grande mestiere, qualità professionali notevoli, contaminazioni creative tra il teatro, lo spettacolo dal vivo, la musica e la danza. Si tratta del macro format che, insieme all’informazione e alla fiction, ha fornito storia e identità al diffuso elettrodomestico di casa. Dal bianco e nero al colore.
Quanti sabato sera sono stati accompagnati dalla voce e dalla bravura carismatica della Carrà, espressione autentica del nazionale e popolare.
Mai rinchiusa nei confini domestici, la popolarità che ne ha accompagnato il percorso l’ha eletta a eroina dei due mondi, apprezzata com’è nelle Americhe, a partire dai luoghi segnati dalle culture latine così affini ad un’estetica un po’ irriverente, un po’ malinconica. Briosa e incontenibile, con una fisicità dirompente (l’esibizione dell’ombelico divenne una sorta di rottura della moralità bigotta prevalente nella vecchia Rai, non per caso commentata da numerose pagine della mediologia), one woman show. Con una naturalezza nel ballo che l’ha iscritta alla serie alla cui testa c’è l’indimenticabile Carla Fracci.
Una donna, in mezzo a mostri sacri dello spettacolo maschi, spesso bravi ma altrettanto spesso invadenti. La Carrà non si è ritagliata il ruolo della classica presenza femminile nel varietà. Al contrario, ha saputo diventare protagonista e punto di forza di monumenti dello svago come Canzonissima o Milleluci, magari insieme a Mina o a Pippo Baudo.
Non solo. Apparve nel cinema con Frank Sinatra o nei programmi per bambini come Maga Maghella o Topo Gigio.
Sdoganò un erotismo esibito in forme leggere e non forzate, né volgari né narcisistiche. E, infatti, piaceva senza distinzioni di genere..
Canzoni celebri come Tuca Tuca o Rumore o Com’è bello far l’amore da Trieste in giù sono diventate la colonna sonore diffusa e adatta persino agli stonati.
Raffaella Carrà fu contesa a lungo dalla Rai e da Mediaset. Quando Biagio Agnes -direttore potente del servizio pubblico- e Silvio Berlusconi sancirono verso la metà degli anni ottanta del secolo passato una sorta di pax televisiva parlavano proprio di lei e del suo doppio maschile Baudo. Una diva seguitissima e stimata poteva spostare svariati punti di percentuale dello share.
A raccontare comincia tu fu una rubrica condotta dalla Carrà tra il 2019 e il 2020 per la terza rete della Rai. Bravissima, preparata conduceva la trasmissione in modi non banali. Anzi. Superò, forse, sé stessa di fronte a Riccardo Muti, inarrivabile e severo. Tuttavia, persino il celeberrimo direttore fu dolcemente avvolto dalle trovate di un’intervistatrice capace di rotolare tra punti alti e coltissimi e gradevoli incursioni nella e sulla vita privata. Equilibrismi d’autrice.