Mario Paciolla, in Colombia come osservatore delle Nazioni Unite, è stato assassinato a San Vicente del Caguan proprio un anno fa, il 15 luglio 2020.
La scena del crimine è stata però “costruita” per indurre la tesi del suicidio per impiccagione. Tesi già smentita con dovizia di particolari dall’inchiesta della magistratura italiana che ancora non è conclusa. L’équipe medico-legale che ha ripetuto gli esami – guidata dal professor Vittorio Fineschi, che si è occupato anche dei casi di Stefano Cucchi e Giulio Regeni -, ha eseguito una tac sulle ferite trovate sul corpo di Mario. Un esame che era stato trascurato in Colombia. I medici italiani hanno anche rilevato che la ferita riscontrata sul collo della vittima non sarebbe compatibile con l’impiccagione e non avrebbe potuto procurare il decesso.
Cercheremo dalla Colombia e dall’Italia di spiegare perché non può essersi trattato di suicidio a partire dalle parole di Anna e Giuseppe, i genitore di Mario. E anche delle loro avvocate: Alessandra Ballerini e Emanuela Motta.
“Mario era una persona che amava la vita, positivo ed ottimista per definizione.
Già da dicembre 2019, nel suo ultimo ritorno a Napoli si era recato in altri paesi d’Europa per valutare altre possibilità di lavoro.
…Mario correva correva sempre anche col pensiero, questa è l’immagine che ho di lui – ricorda la madre – di uno che corre, di uno che va sempre alla ricerca di qualcosa di cui “prendersi cura” in paesi come la Colombia….”
“L’ultima volta che ci siamo scritti messaggi con Mario è stato esattamente il 14 luglio 2020: Mario ci comunicava di aver acquistato un biglietto aereo con un volo umanitario con partenza da Bogotà il 20/7….Questa partenza improvvisa aumentò le preoccupazioni dei frequenti e inusuali contatti nei giorni precedenti in cui abbiamo percepito che c’erano problemi. Aveva avuto una discussione all’interno dell’Organizzazione, aveva paura che in qualche maniera gliela avrebbero fatta pagare. Sono una madre: gli chiesi subito se la sua vita fosse in pericolo ma, secondo il suo stile, per non farci preoccupare ci disse di stare tranquilli. …ma anche che voleva tornare in Italia al più presto e che in ogni caso non sarebbe più tornato in Colombia nonostante altri tre anni di contratto, non voleva più collaborare con le Nazioni Unite.
“Purtroppo non sappiamo quasi niente del suo lavoro. Mario era una persona molto seria, rigorosa e riservata: sappiamo che più volte aveva chiesto di essere trasferito. …ripensiamo spesso a una frase che, dopo il suo assassinio, ci pare inquietante: “se l’ONU vuole tirarmi dentro io li lascio, senza terminare il contratto”.
“…a diverse ore dalla morte di Mario l’Ambasciata italiana non era al corrente della morte di un Italiano.
L’ONU ha da subito accettato la classifica della morte come suicidio senza nessuna certezza né approfondimenti. …L’ONU sin dall’inizio non è stata collaborativa con i nostri avvocati. Alcuni suoi funzionari che lavoravano con Mario potrebbero aver contribuito a depistare le indagini inquinando la scena del crimine. E’ un’ipotesi inquietante appresa dai media.”
In occasione del compleanno di Mario, il 27 marzo scorso, Alessandra Ballerini ha ribadito che Mario non si è certo suicidato e che “il diritto alla verità è un diritto di ciascuno di noi, non solo della famiglia… che questa verità noi chiediamo anche all’ONU: a che servirebbe altrimenti aver istituito la giornata per il diritto alla verità in una data simbolica come il 24 marzo, in memoria di Monsignor Romero assassinato in Salvador nel 1980 proprio per il suo impegno contro le violazioni dei diritti umani? (è stato beatificato nel 2018 da Papa Francesco ndr)
Emanuela Motta ricorda che le vicende come quelle di Mario “non sono affari di altri, sono affari che ci riguardano tutti: questo modo di pensare era caratteristico proprio di Mario”.
Ricordano anche che Mario aveva sviluppato capacità analitiche e di profonda conoscenza dei luoghi in cui operava. Scriveva articoli per importanti testate italiane di geopolitica, come Eastwest e Limes; raccontava anche la Colombia all’indomani degli Accordi di Pace e l’aumento degli omicidi di difensori dei diritti umani.
Mario Paciolla è stato dunque assassinato; in quale contesto Colombiano?
Gli accordi di Pace siglati nel 2016 tra l’ex presidente Manuel Santos e il gruppo guerrigliero più longevo dell’America Latina, la FARC, avevano suscitato la speranza di una parte del popolo per una riconciliazione nazionale. Un brusco punto di arresto nella concretizzazione dell’accordo c’è stato con l’arrivo alla presidenza del paese, nel 2018, di Ivan Duque. Ciò ha prodotto un aumento delle vittime per uno stato che non contrasta illegalità di gruppi armati mentre decine di migliaia di famiglie precipitano in una estrema povertà dopo aver distrutto i loro campi di coca mentre la riforma agraria non c’è stata.
Il 29 agosto 2019 i caccia delle Forze aeree colombiane avevano bombardato l’accampamento di Rogelio Bolivár Córdova, comandante di una delle cellule dissidenti delle Farc ad Aguas Claras, vicino al municipio di San Vicente del Caguán, la cittadina dove Mario è stato ucciso. Il distaccamento non aveva accettato il disarmo previsto dagli Accordi di pace del 2016. Morirono almeno diciassette persone: in gran parte minorenni.
Lo scandalo costrinse alle dimissioni il ministro della difesa Guillermo Botero, fatto straordinario nella storia della Colombia, dove i vertici del potere militare godono tradizionalmente di un’impunità di fatto. Ci sarebbe su questo grave fatto un documento delle Nazioni Unite filtrato proprio dalla Missione di San Vicente del Caguán e a cui Mario avrebbe contribuito direttamente: il testo non è stato condiviso da tutti, sembra. Il che potrebbe forse rispondere alla domanda della sua mamma: “perché Mario si preparava ad anticipare il rientro in Italia e non voleva più lavorare in Colombia, né per le Nazioni unite?, Che cosa era successo?”. E forse anche spiegare il “mistero” del mouse di Mario trovato coperto di sangue, rimosso dalla scena del crimine da un funzionario dell’Onu e mai più riapparso. Uno scenario davvero oscuro.
Il popolo crede ancora nel processo di pace ma le violenze continuano: Jaison Garcia, Lucas Villa, Yinson Angulo, Santi Moreno, Dylan Barbosa, sono alcuni dei giovani manifestanti uccisi durante il paro (sciopero) nazionale da parte della polizia, nomi scritti per terra, all’entrata del parco nazionale di Bogotá. Il parco nazionale dal 28 aprile 2021 é il teatro della mobilitazione popolare con migliaia di persone che si radunano in assemblee per discutere di educazione pubblica, dei leader sociali assassinati e della mancata riforma agraria … e dell’ingiusta proposta di legge fiscale.
Qui gli studenti delle universitá pubbliche fanno aula di classe all’aperto, davanti alla Statua di Rafael Uribe (un “eroe” ucciso nel 1914); dipingono manifesti e cartelloni per i cortei. Trovi giovani ecologisti che protestano nella parte nord del parco, davanti alla sede di Ecopetrol, per chiedere giustizia ambientale e dire basta allo sfruttamento delle multinazionali del petrolio.
Questo parco nazionale si trova a “cento passi” dalla sede dell’ufficio nazionale delle Brigate Internazionali di Pace (PBI) coordinato da Mario Paciolla, osservatore delle Nazioni Unite dal 2018.
Mario accompagnava Soraya e gli avvocati del Collettivo Restrepo CAJAR, come scorta di interposizione non violenta per proteggere leader sociali minacciati. Camminava per il quartiere popolare La Perseverancia, davanti alla sede di PBI, tra quelle strade che gli ricordavano la sua bella Napoli, dove era nato. Accompagnava l’avvocata Soraya anche alla sede dell’Istituto di Educazione Popolare CINEP, per incontrare padre Javier Giraldo, il gesuita che denunciava i crimini di stato e insieme a Soraya divenuto obiettivo della persecuzione anche delle mafie che prosperano in un paese che è il maggiore produttore mondiale di cocaina causa/effetto anche della repressione della protesta sociale.
Soraya si commuove ricordando Mario Paciolla: “mi ricordo bene di Mario, ha accompagnato noi avvocati del Colettivo CAJAR per proteggere il nostro lavoro in difesa dei diritti umani. Era un giovane uomo solidario e sensibile. Chiediamo giustizia, nessuna impunitá”.
Mario Paciolla è stato assassinato: si stanno moltiplicando i delitti nel mondo per fermare i popoli che si “sollevano” si ribellano a sovrani/despoti che costruiscono la loro ricchezza e il loro potere sul sopruso, sull’ingiustizia. Succede in tutti i continenti: dall’America Latina all’Africa all’Europa. Aumentano i flussi migratori. Anche la pandemia ci mostra che è tempo di costruire nuove relazioni internazionali basate sul principio che tutti i diritti umani valgono per tutti gli uomini e tutte le donne di tutti i paesi del mondo. Abbiamo l’obbligo di ascoltare capire e non restare indifferenti al fatto che l’occidente (e non solo) rimane più sensibile a interessi economici da non disturbare, ad aree di influenza da sfruttare e/o conquistare piuttosto che ai diritti delle persone.
Il nostro impegno per avere verità e giustizia per tutti i Mario Paciolla, i Giulio Regeni, gli Andrea Rocchelli, le Ilaria Alpi e i Michele Colosio, volontario Bresciano ucciso a pistolettate in Messico due giorni fa, non può essere solo una scelta etica e di solidarietà, necessaria ma non sufficiente. Deve essere politica: guardare a quelle aree che stanno dalle altre parti del pianeta come a una grande opportunità per ripensare il mondo, la geopolitica, costruire nuove relazioni e iniziare a superare la cultura di guerra che ancora regola i rapporti tra gli stati; a 76 anni dalla fine della seconda guerra mondiale i conflitti cosiddetti locali e/o interni in corso nel mondo sono diverse decine. Una geografia di dolore, morte e distruzione: l’80% delle vittime per massacri ma anche per fame e malattie è composto da civili inermi donne e bambini. Superare una cultura di guerra che contagia anche le relazioni tra le persone, le generazioni e i generi e tra questi e il pianeta che può morire: è un percorso da intraprendere. “Per ripudiare la guerra” è necessario costruire una cultura di pace che ancora non c’è. Subito.
Se osserviamo con attenzione l’impegno e la vita di chi è stato ucciso ci accorgiamo che ci sono dei valori che li accomunano così come gli stili di lavoro: da lì ci vengono gli obiettivi da perseguire difficili ma necessari.
Ilaria Alpi, una donna una giornalista di talento che amava il suo lavoro: conoscere cercare svelare raccontare e non tacere; non tacere l’ingiustizia, le guerre, le disuguaglianze insopportabili e le ragioni che ne sono causa e che spesso hanno a che fare con affari sporchi, traffici leciti e illeciti di ogni tipo organizzati dalle criminalità mafiose “coperte e/o aiutate” dai diversi poteri pubblici e privati. Per questo Ilaria è stata assassinata insieme a Miran Hrovatin “nel più crudele dei giorni” quel 20 marzo 1994 a Mogadiscio: un’esecuzione preordinata e ben organizzata perché lei tacesse per sempre e non potesse più raccontare: è scritto anche in tutte le sentenze della magistratura ma ancora esecutori mandanti e responsabili dei depistaggi non sono stati consegnati alla giustizia.
Agire subito perché adesso sappiamo che cosa potrebbe essere successo anche a
Mario Paciolla: era giovane, stessa età di Ilaria, aveva scelto di operare in una Paese lontano difficile attraversato da conflitti: per essere solidale alle persone di quel mondo e lavorare per un mondo migliore per tutti.
Anche questa vicenda giudiziaria, appena iniziata, si presenta complessa e non facile. Qui è già chiaro almeno alla magistratura italiana che da subito c’è stato depistaggio ed è stata manomessa la scena del crimine per sostenere il suicidio per impiccagione. Per Ilaria sono passati 27 anni e ancora non c’è un provvedimento giudiziario completo. Non deve accadere più.
Mario Paciolla, in Colombia per l’ONU potrebbe avere incrociato episodi simili ai “peccati capitali” incontrati da Ilaria in Somalia (così li aveva definiti il senatore Ettore Masina che sulla cooperazione italiana con la Somalia aveva pubblicato un dossier nel 1991, che Ilaria possedeva). Si trattava di affari, corruzione ma anche contiguità con traffici leciti e illeciti criminali di armi e di rifiuti tossici anche radioattivi.
Ma anche in quegli anni c’erano dossier che riguardavano l’America latina. Procedimenti giudiziari, 36 persone rinviate a giudizio ma tutto finì in prescrizione o archiviato per vizi di forma. La Commissione bicamerale d’inchiesta non terminò i suoi lavori per lo scioglimento anticipato della legislatura.
Mario Paciolla, come gli altri giovani citati, può contare sull’impegno decisivo e indomabile dei suoi genitori. Lo è stato per Ilaria: senza Luciana e Giorgio il caso sarebbe stato archiviato subito.
Proviamo allora a costruire attorno alla famiglia di Mario un lavoro diffuso che chiami a gran voce giustizia e verità.
Chiediamo a gran voce un impegno deciso di tutte le Istituzioni, dalla città di Napoli alla regione Campania, dal Parlamento al governo fino al Presidente della Repubblica, al Parlamento Europeo. Ognuno faccia ciò che deve perché questa voce arrivi a chiedere conto al governo colombiano e all’ONU dei comportamenti oscuri di chi era là dove Mario è stato trovato assassinato.
Molte persone sanno di certo che cosa è successo, perché e anche chi è responsabile, coinvolto. Chiediamo loro di non essere indifferenti ma partigiani della verità e della giustizia e raccontare: pensiamo sia un dovere nei confronti di Mario che era lì per prendersi cura di chi è impegnato per la difesa dei diritti umani; nei confronti della famiglia ma anche di tutti noi.
Svuotiamo gli arsenali e riempiamo i granai: indimenticabili parole di Sandro Pertini Presidente della Repubblica dal 1978 al 1985. Sono ancora valide e ci parlano.
Ci sono iniziative che puntano al boicottaggio delle armi italiane nei paesi dove ci sono conflitti come in Colombia e in Medio Oriente. Rispondono a scelte etiche apprezzabili anche se i risultati sono scarsi stante che anche gli embarghi obbligatori non vengono rispettati nonostante le sanzioni.
La pandemia ci ha confermato che per salvare il pianeta terra occorre avviare una rivoluzione pacifica nonviolenta per affermare la libertà e la responsabilità di sé, verso gli altri, ovunque siano e verso il pianeta. Occorre allora immaginare un mondo verde in pace senza armi: incominciamo dalla graduale riconversione dell’industria bellica. “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…” art. 11 della Costituzione della Repubblica Italiana
*Mariangela Gritta Grainer e, dall’America Latina, Cristiano Morsolin esperto diritti umani