BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Mani bianche Zona rossa. Genova 2001, una testimonianza dal cuore del servizio pubblico

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Carlo Cerrato è un giornalista della Rai, ora in pensione. Nella sua lunga carriera ha diretto le redazioni regionali di Aosta, Torino e Genova. E proprio di Genova ci parla nel suo libro “Mani bianche Zona rossa. Genova-G8/Capitol Hill. Memoria, simboli, suoni, colori“, pubblicato all’inizio di Luglio dalla casa editrice Erga. Il libro, scrive l’autore stesso, è «una proposta di lettura “altra” di alcuni eventi di vent’anni fa attraverso le emozioni di un certo numero di testimoni professionali». Incuriositi, abbiamo intervistato l’autore.

Il tuo libro non è una semplice ricostruzione. A distanza di vent’anni, offre una panoramica documentata su fatti e opinioni, uno strumento utile per comprendere l’ampiezza del dibattito pubblico che portò agli eventi del G8 genovese.

Ci ho provato, grazie. Ho provato a restituire il contesto di quegli anni. In fondo ero stato mandato a Genova come caporedattore della TGR anche per cercare di restituire il clima che s’era creato… e non solo in città, ma nel mondo.

Ecco, questo è un punto interessante. Le tue pagine riportano alla memoria soggetti pubblici, eventi e personaggi quasi dimenticati. Una galassia in fermento che contribuì a determinare anche quanto accadde a Genova.

Stava crescendo, da Seattle in poi, un movimento antiglobalizzazione alimentato dalle potenzialità in gran parte inesplorate della rete. Violenza e repressione ne occultarono totalmente i temi. Quelle istanze – non solo ecologiche, ma anche politiche, rivolte a denunciare gli squilibri economici del pianeta – erano considerate già allora come un’emergenza. Fu ribadito con forza a Genova, due anni dopo. E ora, che sono passati vent’anni, quegli slogan sono ancora validi.

Nelle prime pagine del libro fissi un ricordo personale, risalente ai giorni in cui testimoniasti per la strada, da cronista, quanto avveniva in città: una maglietta indossata da un manifestante con su scritto “Voi G8. Noi 6.000.000.000”. In testa portava un mappamondo enorme… Che cosa rimane?

La sensazione quasi palpabile che una violenza percepita e quasi annunciata, poi puntualmente scatenata e repressa nei modi non ancora definitivamente chiariti, abbia raggiunto in modo inequivocabile l’obiettivo: bloccare per un lungo periodo un percorso di idee in crescita sui temi della tutela dell’ambiente e della mondializzazione come causa di aumento delle disuguaglianze.

Sei un giornalista, eri al centro dell’obiettivo. Come vi interfacciaste con i mediattivisti disseminati per le le strade di Genova, nel Luglio 2001?

Pur con qualche incidente, ci fu collaborazione. Va innanzitutto ricordato il ruolo decisivo dei nostri operatori, professionisti coraggiosi. Ma è anche vero che, senza le testimonianze visive raccolte anche in forma amatoriale per le strade di Genova, il racconto degli eventi sarebbe stato non solo più povero, ma anche meno vero. Ripenso a quanto accadde tra fine luglio e i primi di agosto: Teresa Tacchella, una collega, ottiene da un videomaker una videocassetta VHS. Quel nastro era stato girato il 20 luglio vicino alla Questura. Si vede chiaramente il vice capo della Digos, in jeans e polo gialla, sferrare un calcio a un manifestante già ferito. Si saprà poi che è un ragazzo romano e ha diciassette anni. Fu l’apertura del TG3, e fece il giro delle televisioni mondiali.

E il resto della Rai?

Ricordo con precisione il rapporto che intrattenemmo con Rainews24, il canale allnews della Rai, nato da poco…

Lo dirigeva Roberto Morrione…

Sì, lui. Lo conoscevo da anni. Poco di persona, centinaia di volte al telefono. Come capocronista del TG1, negli anni di piombo, era il mio diretto referente quando ero a Torino. Sempre attento, puntiglioso, preciso… e nel 2001 ci sostenne con fermezza.

Come?

Decise di trasmettere tutto. Tutto quello che riuscivamo a raccogliere per le strade. Senza censure. Soprattutto la notte della Diaz.
Non avevamo ancora un’idea chiara su che cosa fosse successo, ma era chiaro che fosse qualcosa di grosso: le immagini parlavano da sole. Così alimentammo per ore una sorta di linea diretta con Roma e Rainews24 manda in onda per tutta la notte gli aggiornamenti con le immagini grezze.

In quei giorni fosti frequentemente in contatto con il cardinal Tettamanzi, a quel tempo arcivescovo di Genova. E nel libro ricordi la continuità, almeno su certi temi globali, tra la predicazione di Giovanni Paolo II e quella dell’attuale pontefice, Bergoglio. Papi tanto diversi…

È vero. Tettamanzi fu un interlocutore autorevole e preziosissimo, non soltanto in quei giorni. Come lo fu Don Gallo, che però conobbi meglio nei mesi e negli anni successivi al G8. Vedi: la parabola dell’attivismo sociale di area cattolica, in quegli anni, è ben rappresentata dalle vicende della “Rete Lilluput”, composta dalle mille anime del cattolicesimo democratico di base. Erano protagonisti, capaci di porsi al centro del dibattito. Ma non seppero riconoscere la necessità di darsi una leadership, rifiutarono l’idea della delega al vertice… e rimasero fuori dai giochi. Prodromi di un sentimento antipolitico che, nei nostri anni più recenti, ha trionfato nelle piazze e in parlamento.

E sui papi?

Nel libro ricordo quanto affermato da papa Francesco in un’intervista: «Quando, nel 2007, sono andato come Vescovo di Buenos Aires alla V Conferenza dell’Episcopato latino-americano e dei Caraibi ad Aparecida in Brasile, ricordo la forza con cui i vescovi brasiliani parlavano dei grandi problemi dell’Amazzonia. A ogni pie’ sospinto tiravano fuori l’argomento, spendendo fiumi di parole sulle implicazioni ambientali e sociali delle questioni
in ballo. Ricordo bene di avere provato fastidio per questo atteggiamento e di aver anche commentato: ‘Questi brasiliani ci fanno impazzire con i loro discorsi!’ (…) Da quel 2007 molto tempo è passato e io ho cambiato completamente la percezione del problema ambientale. Allora non capivo e sette anni dopo scrivevo l’Enciclica”.

È questo che intendevamo, poco sopra, quando abbiamo attribuito al libro di Carlo Cerrato il merito di averci restituito lo “Zeitgeist” del G8 di Genova, nel 2001: possiamo essergi grati per averci permesso, a distanza di vent’anni, di ripercorrere le tante lezioni che emersero da quegli eventi.
Per esempio: che la Rai, il servizio pubblico radiotelevisivo, può ancora assolvere – a patto che dimostri coraggio e precisione – il difficile compito civile che gli è tuttora assegnato e che anche i papi, alle volte, sono cocciuti e distratti.


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