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Lettera intimidatoria a Focus on Africa. L’Etiopia vuole imbavagliare la stampa italiana

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Un giornale fedele al suo scopo si occupa non solo di come stanno le
cose ma di come dovrebbero essere, sosteneva Joseph Pulutzer, grande maestro di giornalismo.
Focus on Africa, sin dal giorno in cui è nato, il 28 marzo del 2019, non ha fatto altro che seguire e far proprio questo ideale.
Sul conflitto nel Tigray in Etiopia, voluto dal premier Abiy Ahmed che il 4 novembre ha dato l’ordine di attaccare la regione etiope guidata dai suoi più strenui oppositori,   abbiamo sempre garantito un’informazione completa, riportando tutte le notizie e le posizioni delle parti coinvolte ma denunciando i crimini perpetrati per esplicito mandato di Addis Abeba.
Proprio a fronte di ciò, il tentativo di censura e di intimidazione nei confronti della rivista/giornale online che dirigo è ancora più grave e irricevibile.
L’Ambasciata dell’Etiopia ha inviato una lettera dai toni minatori nei confronti di un nostro collaboratore, Fulvio Beltrami, corrispondente dall’Africa occidentale e sub sahariana.
Abbiamo pubblicato la traduzione della lettera e l’originale sul nostro sito per diritto di replica ma rinnovando piena fiducia al nostro giornalista che ancora tanto (e presto) ha da raccontare su quanto stia avvenendo in Etiopia.
La lettera dell’ambasciata etiope a Focus on Africa non è solo un attacco personale a un giornalista, è un chiaro tentativo di censura diretto a una testata che sin dal primo momento segue e racconta il conflitto nel Tigray con i contributi di Fulvio Beltrami, Omer Abdullah, che scrivono dal posto, con Davide Tommasin e Riccardo Noury, dal punto di vista dell’attivismo e della difesa dei diritti umani e ovviamente con miei editoriali e analisi.
È un inaccettabile, e vano, tentativo di bavaglio. Un’ingerenza gravissima nei confronti di una testata straniera. Una palese violazione della libertà di informazione.
Lo è a prescindere anche quando è rivolta ai giornalisti locali che, tra l’altro, subiscono violenze e abusi di ogni genere: alcuni sono stati assassinati e ve lo abbiamo raccontato come tanti altri crimini commessi in questi otto mesi di conflitto.

Etiopia, fermiamo la campagna di odio sui social. La tua segnalazione conta!

Nonostante il primo ministro etiope Abiy Ahmed abbia ritirato le truppe federali da Mekelle e abbia dichiarato un cessate il fuoco unilaterale il 28 giugno, il Tigray è tecnicamente sotto assedio. Secondo le Nazioni Unite su un totale di 7 milioni di abitanti della regione nord dell’Etiopia, dalle 350mila alle 900mila persone sono a rischio di morte per fame e altri 2 milioni sono a un passo dalla malnutrizione grave. Circa 5,2 milioni di tigrini necessitano di immediata assistenza umanitaria.

Agricoltori, operatori umanitari e funzionari locali affermano che il cibo è stato trasformato in un’arma di guerra, con i soldati federali e le milizie Amhara che bloccano o rubano gli aiuti alimentari. Agenzie umanitarie ONU e ONG che stanno affrontando la carestia sono limitate a causa della mancanza di carburante, dell’interruzione delle telecomunicazioni e dell’elettricità e dall’embargo umanitario di fatto decretato dal governo etiope.

Dal novembre 2020, i tigrini nelle città etiopi, in particolare nella capitale Addis Abeba, sono stati arrestati a migliaia, hanno avuto conti bancari congelati, sono stati epurati dal loro lavoro e le loro imprese sono state chiuse. Ai tigrini, un gruppo etnico minoritario che costituisce circa il 6% della popolazione etiope, è stato impedito di viaggiare all’estero.

Ora, i residenti ad Addis Abeba provenienti dal Tigray affermano che la proliferazione dei messaggi razziali è aumentata a un livello allarmante da quando il Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray (TPLF) ha riguadagnato terreno, con molti tigrini troppo timorosi di lasciare le loro case. Gli arresti di massa sono ripresi, insieme a decine di attività commerciali tigrine chiuse con la forza dalle autorità etiopi. Le Nazioni Unite affermano di aver ricevute prove (attualmente all’esame) di esecuzioni extragiudiziarie di vari cittadini etiopi di origine tigrina recentemente arrestati. I tigrini che vivono altrove in Etiopia, temono di diventare “The Next Rwanda”. L’incitamento all’odio e il targeting dei tigrini si stanno intensificando ad Addis Abeba, terrorizzando sia i cittadini etiopi originari del Tigray sia i le coppie miste.

I messaggi di odio etnico, sorti nel 2019 sui social in Etiopia e tra la diaspora hanno avuto un aumento esponenziale dall’inizio del conflitto in Tigray. Dopo la sconfitta militare subita in giugno dagli eserciti etiope ed eritreo il fenomeno è esploso trasformando Twitter, Facebook, e gli altri social in veicoli di fakenews ma, soprattutto di odio e promozione del genocidio. Una tattica ben conosciuta fin dal genocidio ruandese del 1994 anche se allora si usavano giornali, radio, TV e il passaparola “al bar”.

Dinnanzi alle gravi violazioni dei diritti umani, stupri collettivi, fame prodotta dall’uomo (tutti crimini contro l’umanità) e, ora ai chiari propositi di genocidio espressi da utenti etiopi ed eritrei sui social, Facebook, YouTube-Google, Twitter e Microsoft devono aumentare i loro controllo non solo attendendo segnalazioni di utenti ma vagliando i messaggi con sistemi robotizzati, compresi anche quelli in lingua amarica. Questo controllo non è da confondere con il rispetto di libertà di espressione. Non vi è alcuna libertà nel incitare ad uccidere un gruppo etnico! I magnati dei social devono prestare fede al Digital Service Act dell’Unione Europea, che è un documento vincolante.

Rivolgiamo a tutti i lettori e i cittadini italiani e stranieri che condividono i principi morali della fratellanza, dell’amore, della democrazia, rispetto dei diritti umani e della pace a segnalare alle amministrazioni di Facebook, YouTube-Google, Twitter e Microsoft tutti i messaggi in lingua italiana, inglese e amarica di incitamento di odio etnico e genocidio.

Oltre ad accedere alle pagine web dedicate alle segnalazioni messe a disposizione dalle amministrazioni delle piattaforme social, consigliamo di fare una fotografia del messaggio dove si possa vedere il nome dell’utente e di postare il seguente messaggio sulla vostra pagina nella lingua che preferite.

“Ho segnalato all’amministrazione di (Facebook, Twitter, ect) questo messaggio in quanto veicola: (odio etnico – oppure – incitamento al genocidio) contrario al codice interno di (Facebook, Twitter, ect) e al Digital Service Act 2016 della UE”

Invitiamo i lettori e i cittadini in generale di fare segnalazioni strettamente limitate a messaggi contenenti chiare parole e allusioni di odio etnico o incitamento al genocidio. Messaggi di opinioni politiche, anche in sostegno all’attuale regime etiope, esercito federali, organizzazioni politiche, sono da considerare come una libertà di espressione garantita dalla Costituzione Italiana e da quella Europea.

Articolo di Fulvio Beltrami pubblicato su Focus on Africa il 22 luglio

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