Il 4 agosto sarà trascorso un anno da quando Sergio Zavoli ci ha lasciato, e la Rai saprà certamente ricordarlo al grande pubblico come uno dei padri fondatori del servizio pubblico radiotelevisivo. Da vent’anni a questa parte la Rai è alla affannosa ricerca di un’identità e di una struttura organizzativa che le consenta di competere nello spazio pubblico della comunicazione di massa, dove da tempo si stanno giocando le sorti del modello occidentale di democrazia. Sergio è stato un poeta della realtà e i suoi documentari si presentano come un gigantesco mosaico, composto da centinaia di tessere che raffigura l’Italia della ricostruzione, del miracolo economico e degli anni bui del terrorismo come un paese nel quale conflitti, ritardi e contraddizioni sono comunque intrisi dell’affetto, del sentimento e della perseveranza di quanti, soprattutto gente comune, hanno prima consolidato e poi difeso la Costituzione repubblicana. Da questo punto di vista, le inchieste di Zavoli sono la dimostrazione che la cultura non è un genere, come l’informazione o l’intrattenimento: la cultura è avventura dell’intelletto, passione civile, stile, buon gusto, invito alla riflessione critica, ironia; pertanto essa attraversa tutti i generi – soprattutto i programmi di grande ascolto – e non soltanto i cosiddetti “programmi culturali”.
Se la Rai vuole ricongiungersi con lo spirito e gli intendimenti dei padri fondatori e trasmetterlo alle nuove generazioni di giornalisti, dipendenti e dirigenti, promuova un seminario di studio sull’opera omnia di Zavoli nel quadro di una meditata e partecipata riflessione sul futuro della Rai, sulla peculiarità del lavoro giornalistico nel servizio pubblico e sulla perdurante necessità che quest’ultimo torni ad essere forte ed autorevole. Vogliamo ricordare Sergio perché sentiamo la mancanza della sua voce e della sua saggezza ma anche perché crediamo fermamente che la Rai abbia ancora bisogno di lui.