È straziante per me il solo pensiero di dover “ricordare” chi ha dato futuro alla memoria delle Vittime della Strage di Ustica; è un impegno che sento di non poter- non voler- sopportare. Di Christian Boltanski parlerà la storia civile e politica della Francia e anche del mio Paese, come la Storia dell’arte che già lo definisce “un colosso” dei nostri tempi.
Io voglio soltanto sinceramente piangere un amico generoso, pieno di sensibilità e di ironia; tenermi il suo sguardo intenso quando -senza preavviso e senza conoscenza- gli ho squadernato davanti le mie lacrime di dolore, di delusione, di rabbia, provando a raccontargli la vicenda, che chiamiamo Strage di Ustica
E poi il suo sorriso rassicurante quando ha sostenuto che non bisognava attardarsi nelle lacrime, ma che bisognava lavorare: l’artista come il bravo artigiano sa ascoltare per realizzare un lavoro utile: quel “lavoro”, quel progetto condiviso, è diventato l’anima del Museo per la Memoria di Ustica.
Un museo senza nomi perché il destino, il dolore, la sofferenza sono valori universali che debbono saper parlare alla totalità dell’umanità.
E per quel Museo, per quel legame con la città che era già sbocciato con una meravigliosa mostra alla Villa delle Rose nel “97, a Bologna, Boltanski è tornato più volte, amando questa città anche per la sua storia, lui che era stato chiamato anche Libertà, come secondo nome, ed è proprio ricordando la lotta partigiana che aveva ritratto gli sguardi dei combattenti.
Ma per quella amicizia l’ho seguito a Parigi, ricordo la passeggiata nel freddo – voluto- del Grand Palais, in quella indimenticabile installazione Personnes, nel 2010, o nei giardini della città universitaria, in occasione della Laura ad honorem conferitagli a Bologna nel 2015, o in altre occasioni per il mondo e ricordo un meraviglioso omaggio alla “classe morta” di Kantor, sempre alla ricerca di qualche ricordo, universale.
E qualcosa di tutte le sue nuove “esperienze” è sempre transitato, attorno al Museo. E dopo dieci anni dall’inaugurazione del Museo, nel 2017, Christian è tornato a Bologna, “disperdendo” in vari luoghi il suo messaggio di memoria, ma anche di impegno per il presente.
E sono tornati gli sguardi dei partigiani, nelle più importanti arterie cittadine, l’omaggio all’immigrazione in luoghi un poco degradati della periferia, lo scavare nei ricordi in uno struggente spettacolo teatrale all’Arena del Sole, e ancora un eccezionale insegnamento in una mostra autobiografica al Mambo: la grande montagna luccicante che ci rapisce non è altro che la catasta dei teli che si buttano agli immigrati assiderati.
Guardare oltre le apparenze, conservare e sapere leggere le cose, capire che tragedia, disperazione, destino sono valori che debbono restare universali.
E sono felice e commossa che tutti questi insegnamenti che Christian ci ha dato, abbiano avuto, in qualche modo, “coronamento” nella laurea dell’Università di Bologna, che è stata trovata nella sua camera tra le carte che teneva più care.
Con tutte queste emozioni addosso, mi sento di dire: il cuore di Christian Boltanski non si è fermato nel giorno della Libertà, per i Francesi, batte nelle luci che si abbassano, ma non si spengono mai, nel Museo per la Memoria di Ustica, batte in quella straordinaria raccolta di battiti che aveva voluto raccogliere in nell’isola di Teshima, sperduta nel Giappone, batte nei cuori di tutti quelli che hanno incontrato la sua arte straordinaria in giro per il mondo. Batte nel mio cuore, amico sincero!