Un manifesto firmato dal Movimento delle Agende Rosse fondato da Salvatore Borsellino, attivista e fratello del magistrato Paolo Borsellino, chiama a raccolta la società civile, affinché faccia udire forte e chiara la propria voce in merito alla dibattuta “Riforma Cartabia: ingiustizia di forma e di merito”. Si intitola così il documento reso noto oggi: “Abbiamo ritenuto imprescindibile denunciare pubblicamente le criticità di questa riforma e dell’iter scelto per approvarla, e chiamare a una mobilitazione unitaria chiunque voglia dare il suo contributo nell’ambito del confronto civile e democratico”.
“Vogliamo ringraziare i tanti che hanno già deciso di aderire al nostro appello e tutti quelli che decideranno di farlo -si legge nel manifesto- Invitiamo ad aderire gli esponenti della classe politica che siano veramente interessati al buon funzionamento del sistema Giustizia, nel rispetto della nostra Carta costituzionale. Chiediamo ai rappresentanti parlamentari di opporsi in modo esplicito all’approvazione di una riforma che riteniamo neghi alla radice il principio di Uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla Legge”.
“Questo Governo ha elaborato misure con l’obiettivo dichiarato di voler risolvere le criticità del sistema Giustizia -prosegue il documento- In questo contesto si inseriscono gli emendamenti al disegno di legge Bonafede sul processo penale, formulati dal ministro Marta Cartabia e già approvati all’unanimità dal Consiglio dei ministri nella prima settimana di luglio. L’assoluta anomalia nel metodo e nei tempi di approvazione degli emendamenti, che evidenzia un pericoloso disprezzo nei confronti del ruolo del Parlamento, e la possibile incostituzionalità di parti dei provvedimenti annunciati, impongono una seria e forte presa di posizione”.
Per quanto riguarda il metodo di approvazione “è davanti agli occhi di tutti l’improvvisa accelerazione che ha subito l’iter procedurale del disegno di legge Cartabia. Gli emendamenti sono stati depositati in Commissione Giustizia il 14 luglio e l’aula del Parlamento sarà chiamata a esprimersi sul complesso della riforma il 30 luglio. A due giorni dall’inizio dei lavori in aula, però, incredibilmente non è neanche iniziata la votazione sul primo emendamento in Commissione giustizia”.
Nel merito dei contenuti degli emendamenti, invece, sono soprattutto due i punti che destano maggior preoccupazione: le questioni “dell’improcedibilità e quella dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale”. La prima riguarda l’estrema lunghezza dei processi, a cui si propone “una soluzione virtuale, sconnessa rispetto alla realtà, quale quella della fissazione di termini astratti entro cui il procedimento deve chiudersi. Pena la dichiarazione di improcedibilità, dunque la vanificazione e lo spreco di lavoro, energie e risorse, economiche e umane, profuse nello svolgimento del procedimento penale”.
Non si crea così “alcuna condizione per snellire e sveltire i tempi dei processi, bensì si falcidiano arbitrariamente quelli che -per carenze strutturali e organizzative o per quantità di imputati- non riescono ad essere conclusi entro la scadenza imposta”, si denuncia nel manifesto. Tale soluzione non sembra degna di uno “Stato di diritto, che dovrebbe impegnarsi per risolvere le criticità sostanziali”.
Con queste misure “solo i cittadini più fortunati potranno aspirare ad avere una pronuncia da parte del loro giudice. Inoltre, saranno privilegiati gli imputati più facoltosi, che potranno permettersi gli avvocati più bravi a trovare ogni stratagemma per allungare i tempi dei processi”.
Quanto invece alla questione dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale si osserva che “uno degli emendamenti proposti si pone in aperto contrasto con uno dei principi cardine del nostro ordinamento giuridico: l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Costituzione)”. Esso. prevede, infatti, che i pm siano tenuti “a perseguire i crimini di cui giunge notizia in Procura, senza compiere valutazioni e scelte discrezionali di preferenza relative al tipo di reato, ovvero al soggetto che vi si trovi coinvolto”.
Tale principio, posto a garanzia di quelli “di eguaglianza, ma già messo duramente alla prova dalla scarsa disponibilità di risorse degli uffici giudiziari, è ignorato da riforma Cartabia, che intende introdurre un meccanismo di priorità nell’apertura dei procedimenti penali”. Tale priorità, a detta del governo, verrebbe demandata al Parlamento “che dovrà tracciare le linee guida che le Procure dovranno seguire per decidere quali siano i reati più importanti e quelli meno”.
Un’inaccettabile e irricevibile misura che -si commenta nel manifesto- si pone “in contrasto con il principio di separazione dei poteri”. Con essa, si legittima “l’indebita e incostituzionale ingerenza dell’organo legislativo nell’esercizio della funzione giudiziaria che, sempre nella previsione costituzionale, deve svolgersi in piena autonomia e indipendenza dagli altri poteri dello Stato”.
Su tutto questo e altro ancora domani 29 luglio è stato organizzato alla Camera dei Deputati dalle Agende Rosse un incontro per discutere della “Riforma Cartabia, ingiustizia di forma e di merito”.
La conferenza (a partire dalle 16) vedrà la partecipazione dell’onorevole Piera Aiello (componente della Commissione Antimafia); di Salvatore Borsellino fondatore e presidente del Movimento Agende Rosse; del giornalista Paolo Borrometi; del magistrato Gian Carlo Caselli; di don Luigi Ciotti, presidente di Libera; di Tomaso Montanari accademico e saggista; dell’avvocato Fabio Repici; del direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio. Modera Federica Fabbretti del direttivo Agende Rosse.