Se ho capito davvero cosa é successo a Genova durante il G8 del 2001 lo devo al numero speciale della rivista Diario uscita subito dopo, agli inizi di agosto. Uno speciale costruito intorno a 202 fotografie e alle prime 51 testimonianze arrivate dai lettori.
La copertina resta nella storia: una donna con i capelli bianchi che versa acqua su un ragazzo a terra, con il volto coperto di sangue dopo le violenze subite dalle forze dell’Ordine. Scopriremo grazie a Diario che quella donna è la pediatra Marina Pellis Spaccini e che anche lei era stata picchiata nella carica. All’interno ci sono tante voci diverse: c’è il padre costretto a recuperare suo figlio ventenne al carcere di Pavia, dove era arrivato dopo essere stato ingiustamente arrestato e massacrato di botte a Genova da chi doveva invece preservarne la sicurezza; c’è la testimonianza del regista Mario Martone; quella di chi racconta di Carlo Giuliani poco prima del suo omicidio; ci sono le storie della scuola Diaz, della caserma di Bolzaneto, di ragazzi italiani e stranieri traumatizzati da quanto vissuto.
Quelle 97 pagine sono un documento storico eccezionale ancora oggi. Per questo motivo noi della redazione di Articolo21 abbiamo pensato di ripercorrerne la nascita con il direttore del tempo Enrico Deaglio e, per sua gentile concessione, ripubblichiamo oggi la rivista invitando tutti voi a sfogliarla, perché continui ad essere patrimonio comune, strumento di denuncia e memoria.
Come è maturata la scelta di quel numero speciale di Diario?
Prima del G8 non solo avevamo contezza che sarebbe stato un grande evento, ma anche sarebbe stato un disastro. Lo potevamo prevedere perché c’era stata la sua prova generale a Napoli (a marzo 2001 ci furono violente cariche sui manifestanti del contro forum, ndr). Tutto faceva presagire quindi che Genova sarebbe stato un evento da coprire e raccontare con grande forza. Diario poi simpatizzava con il movimento e lì, a Genova, aveva i suoi lettori. Eravamo quindi particolarmente interessati a seguirlo da vicino. Succede tutto come sappiamo, succedono i fatti gravissimi della Diaz. E noi cominciamo a ricevere al giornale le testimonianze.
Avevamo un sito. C’era un blog. Ma i siti e i sistemi di comunicazione web erano più macchinosi, rudimentali, lenti di oggi. Solo spedire una foto era un’impresa. Tutti i nostri lettori cominciano però a scriverci portando le loro testimonianze. All’inizio lettere e qualche foto.
Facevamo fatica a star dietro a tutto con il sistema del computer. Il sistema saltava. Abbiamo capito subito di avere una quantità enorme di foto e di testimonianze da usare.
All’epoca non sapevamo bene ancora cosa fosse successo. Era tutto vago. Sia alla Diaz sia a Bolzaneto i contorni di quanto successo non erano definiti. Ma avevamo un sacco di informazioni e testimonianze che arrivavano dalle fonti piu disparate. Partecipanti al G8, ma periferici, gruppi o amici, molti dalla provincia, da posti del centro italia, e che si erano trovati in mezzo a questa siutazione, sperduti, qualcuno picchiato. Le loro testimonianze erano importanti perché indicavano orari, luoghi precisi.
Una delle prime foto che riceviamo è la foto di un fondoschiena con i segni di una manganellata. Era la stessa ragazza vittima del pestaggio ad avercela mandata. Ci venne a trovare in redazione e ci raccontò tutta la storia. Le chiedemmo se potevamo pubblicarla. Alla fine ci disse di si. Come lei, erano persone molto giovani a scriverci, che avevano anche la preoccupazione di come quelle immagini e le storie di violenza subita sarebbero stata prese dalle famiglie. Questo fu l’inizio della costruzione dello speciale.
E poi cosa successe?
Continuiamo a ricevere dai partecipanti, poi da una bella serie di giornalisti. Quelli che per primi erano arrivati alla scuola Diaz. Per la prima volta pubblicavamo quelle foto e denunciavamo le forze dell’ordine, come quel robocop, della Guardia di Finanza che poi venne identificato, ma non venne condannato. Ci metteviamo in contatto con chi mandava le storie per avere tutte le specifiche possibili. Per esempio la foto in copertina. Qulla signora è un medico pediatra dell’ospedale di Udine che abbiamo rintracciato. L’abbiamo intervistata e ci ha raccontato tutto. E’ stato un lavoro che ha richiesto molta organizzazione, cura grafica, avevamo tante foto da scannerizzare e dovevamo fare il tutto in tempo breve.
Avete consegnato a qualcuno quelle informazioni?
Tutto questo è diventato materiale di prova. Dopo Geneva si formò un comitato di difesa. Ci fu un gruppo di avvocati che si mise subito al lavoro. Noi facevamo riferimento a quello. Abbiamo consegnato il fascicolo ad Agnoletto come referente del Social Forum; c’era anche Marta Vincenzi, al tempo Prisidente della Provincia di Genova. E poi molte delle persone avevano fatto denuncia. Soprattutto per quanto successo alla Diaz.
Ci fu anche la scelta di aumentare il prezzo di copertina per stampare su una carta migliore, con una migliore resa delle immagini
Si, l’idea era di farne un documento che restasse nel tempo. Quindi fu centrale la cura della grafica, dell’impaginazione, delle fotografie. Ora i telefonini hanno delle risoluzioni ottime. Pensi, ad esempio, a quanto successo con George Floyd negli Stati Uniti. Noi, invece, all’epoca dovevamo “lavorare” le foto per farle venire bene su carta.
Eravamo 10 persone in redazione. Quel numero nacque dal lavoro organizzativo e dall’idea del gruppo composto da me, l’art director Maurizio Garofalo, Giacomo Papi, che gestiva il sito, e la capo redattrice Marina Morpurgo.
A 20 anni di distanza, come va letto quanto successo a Genova nel 2001?
Genova è stato un momento epocale, progettato perché lo fosse. L’obiettivo del potere era quello di distruggere una generazione di sinistra, di movimento. E questo hanno fatto nei giorni di Genova. E’ stata una sospensione della democrazia, un atto autoritario. Mi spavento quando penso che accadde solo 40 giorni prima dell’11 settembre. A Genova, per la prima volta, era stato chiuso lo spazio aereo perché temevano un attacco dal cielo su Bush. Cosa che si verificò poi a New York City e a Washington. Tutti hanno dato colpa al governo Berlusconi che era stato appena eletto, ma in realtà, pur restando le sue responsabilità, tutto quel sistema era stato approntato già dal governo precedente e di sinistra, il governo Amato. La preparazione delle caserme, le leggi speciali, lo svuotamento delle carceri: tutto era parte anche del piano del governo precedente. Quanto accaduto è espressione dell’idea che c’era: la voglia di trasformare i governi e il potere politico in qualche cosa di più autoritario.
E per le nuove generazioni, cosa resta di quel movimento?
A distanza di 20 anni quel movimento lì non ha trovato una via di sbocco. Non si è organizzato in un partito. Non c’è un partito politico tradizionale che abbia recepito le istanze di Genova come obiettivi, ma a livello sociale sono molto presenti. Sviluppo capitalistico, cambiamento climatico, sostenibilità, immigrazione: questi temi sono diventati patrimonio dei giovani di adesso.