Genova 2001: il ricordo di chi era a Rainews24 con Roberto Morrione

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di Francesco De Vitis, vice direttore Radio 1 Rai

Ridevamo. Sparsi tra le sedie e il divano della stanza di Roberto (all’epoca RaiNews non aveva una sala riunioni – adesso ce n’è una intitolata proprio a lui), ridevamo degli interventi strutturali per trasformare la zona rossa manco fosse la scenografia inventata di uno spot pubblicitario e del divieto di stendere i panni. E delle mitiche fioriere ornamentali volute in prima persona da Berlusconi. Roberto però non aveva voglia di ridere. Ci zittì con un “allora ragazzi” detto a mezza voce e uno sguardo più severo che infastidito. “Sento un’aria strana – disse – troppa tensione… a Genova arriveranno migliaia di persone, bisognerà stare attenti… racconteremo tutto, i lavori del G8 e le manifestazioni… sono queste che mi preoccupano, ci saranno sicuramente provocatori… temo che ci possa scappare il morto”. Scosse la testa, con un moto di disappunto. Noi avevamo smesso di ridere.

Tragicamente aveva ragione lui. Il primo giorno, il giovedì, pochi problemi. Anzi la manifestazione internazionale per i diritti dei migranti e dei rifugiati si snodò festosa lungo il percorso consentito e regalò un’immagine di mani tinte di bianco che sembrava voler lanciare un messaggio di pace. Le proponemmo a lungo, quelle mani, in tanti brevi filmati preparati in tempo reale a corredo di una diretta che, com’era nella filosofia di RaiNews, contava su tutti i segnali televisivi che arrivavano a Saxa Rubra, quelli della Rai e quelli delle televisioni internazionali, quelli in diretta e quelli “scippati” al volo dai riversamenti delle troupe aziendali, quelli provenienti dalla Rete, foto e webcam spesso di qualità al limite del trasmettibile. Roberto ogni tanto si affacciava in regia – dove appunto gestivamo tutti questi segnali – e non solo per farci sentire quella presenza che ti dava un senso di sicurezza e di protezione. “Francesco, queste mani bianche sono l’immagine del giorno… troviamo una foto o un fermo immagine e teniamola fissa in alto a destra quasi fosse un titolo… approfittiamo del multiscreen”. E già, il mitico multiscreen con le sue tre finestre, croce e delizia della prima RaiNews, un’interfaccia pensato per andare in simulcast sulla Rete (cosa mai successa e troppo avveniristica per quegli anni) ma senza la possibilità di passare a tutto schermo, come avevamo chiesto, in caso di rilevanza assoluta delle immagini… e questo era il suo limite più grande.

Ma il peggio doveva ancora venire, con quelle mani bianche cancellate dal blocco nero, il Black Bloc, provocatori e professionisti della guerriglia che, approfittando di altre manifestazioni, devastarono la città con una furia che le forze dell’ordine non seppero contrastare in un primo momento, salvo poi eccedere in senso opposto e non proprio contro i violenti del Black Bloc. E il venerdì il morto ci scappò per davvero. Nel pomeriggio a piazza Alimonda un ragazzo, Carlo Giuliani, coinvolto nell’assalto a un mezzo delle forze dell’ordine, venne colpito da un proiettile sparato da un carabiniere ventenne. Gli scontri divamparono nel giro di pochi minuti e si estesero al resto della città, fino al limite della zona rossa, in un crescendo di paura e violenza. In regia il clima era febbrile, insieme a Marcella Sansoni (collega stimatissima da Roberto, per me una specie di sorella) cercavamo di gestire i segnali video e le informazioni all’inizio confuse poi drammaticamente sempre più chiare. Come sempre nei momenti cruciali, anche Bob era in regia, con la calma di chi ne ha viste di tutti i colori. Le notizie arrivavano, frammentarie: è un ragazzo spagnolo, era quello col passamontagna e l’idrante, hanno sparato almeno due colpi, gli sono passati sopra col mezzo sotto assalto, no è italiano… e poi, da ogni dove di Genova, echi di scontri, cariche della polizia anche su manifestanti inermi, voci di fermi e arresti. Una pagina dolorosa nella storia del nostro Paese, pronta per essere girata sul giorno dopo, con solo qualche ora di tregua notturna. Verso le undici di sera, dopo la comunicazione ufficiale del nome della vittima avvenuta all’incirca un’oretta prima, Roberto mi chiama con l’interfonico: “Sto andando a casa… vai a casa anche tu che domani sarà un’altra giornata dura… ci vediamo nel pomeriggio. Grazie di tutto”.

E il sabato fu davvero duro. Nonostante il tentativo di fermarla, visti i gravissimi fatti del giorno prima, la manifestazione che doveva concludere i tre giorni di protesta in qualche modo coordinati dal Genoa Social Forum si tenne lo stesso, in un clima surreale di scontri e provocazioni, di devastazioni teppistiche, di strade bloccate da barricate, di auto incendiate e lacrimogeni che toglievano il respiro e di genovesi che aprivano le loro case per dare aiuto ai ragazzi in fuga. Verso sera un po’ di calma, ma era solo la quiete prima dell’ultima tempesta, l’assalto alla scuola Diaz, sede del media center del GSF e punto di riferimento per tutti i manifestanti. Le prime notizie di una perquisizione (ma perché in tenuta antisommossa?) cominciarono ad arrivare verso le dieci di sera, grazie anche al nostro inviato Fausto Pellegrini sul posto in men che non si dica insieme al nostro art director Giuseppe Rogolino, per l’occasione nell’inedita veste di telecineoperatore con telecamerina digitale. Il mio turno era quasi finito ma Roberto mi chiese se me la sentivo di rimanere, anche se sarebbe potuta andare avanti per tutta la notte. E così fu infatti: una lunga diretta con Fausto sul posto, Francesco Primozich, sempre impeccabile come conduttore, e in regia con me Fabio Colonna. Sua l’idea di chiamare il numero fisso della Diaz: qualcuno risponde e noi lo giriamo subito al conduttore, “ci passano una telefonata dalla Diaz… chi sei?” e dall’altra parte del filo “no chi cazzo sei tu… qui ci stanno massacrando”. Telefona Roberto: “Bravi, fai i complimenti a tutti, avanti così, non mollate”. E noi continuiamo. Troviamo una camera che inquadra l’ingresso dell’Ospedale. Un’altra telefonata, questa volta all’Ufficio Stampa della Polizia: parlano di un’operazione di routine, niente di grave. Ma quando diciamo che siamo l’unico canale della Rai in diretta e che siamo pronti a far vedere le ambulanze che si susseguano al pronto soccorso, dicono che ci richiameranno a breve per informazioni più precise. Dopo le due al telefono con Primozich c’è  Roberto Sgalla, all’epoca responsabile dell’Ufficio Relazioni Esterne della Polizia di Stato, che dice: «Abbiamo sequestrato molotov, una mazza, spranghe di piombo, molti coltelli, altri oggetti contundenti e anche droga. Abbiamo sequestrato anche divise presumibilmente appartenenti al gruppo di black bloc, quindi pantaloni, magliette nere, passamontagna, bandiere… del materiale cartaceo che potrebbero sembrare dei piani di attacco». Roberto, che è attaccato al televisore, chiama ancora: “Bel colpo, ma non credo a una parola… per me è una spedizione punitiva”. La pensa allo stesso modo anche Fausto, degno controcanto all’imbarazzata ufficialità di Sgalla, che parla di violenze gratuiteferitivetri rotti e sangue sui muri, con la foga e la passione del cronista che non ha paura della verità. I fatti, che non finiscono così, c’è anche l’imbarazzante seguito di Bolzaneto, verranno accertati anni dopo.

Ma siccome spesso la tragedia ha un risvolto comico, anche questa del G8 e della lunga notte della Diaz non è da meno. Verso le otto e mezza del mattino Roberto mi chiama. Valutazioni, complimenti e ringraziamenti, cose che fanno bene al cuore dopo una notte così.

A proposito – dice Bob – ma il numero di Fausto è sempre lo stesso? “

Certo, perché non ti risponde?”

“ No – e sento un tono divertito nella sua voce – è che l’ho dato al Presidente Zaccaria che voleva fargli i complimenti per la diretta… ma Fausto l’ha mandato a quel paese… se riesci a sentirlo, diglielo per piacere…”.

Non riesco a trattenere una risata e Roberto si accoda. Chiamo Fausto e gli dico: “Brother, ma che combini… mandi a fanculo Zaccaria?

E lui: “ Ma che davero? Pensavo me stessero a pijà pe’ culo…”.


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