L’innovazione tecnologica non è neutra e neppure indolore. In omaggio alla nuova stagione dei telefoni cellulari – il celebrato 5G, i cui effetti sulla salute sono ancora incerti– vanno riallocate le storiche frequenze della banda 700 utilizzate finora dall’emittenza, ivi compresa quella locale. Ed è proprio quest’ultima a subire le conseguenze di un processo che incombe nell’inerzia delle istituzioni preposte.
Infatti, in virtù della decisione 899 del 17 maggio del 2017 dell’Unione europea, le leggi di bilancio 2018 e 2019 hanno disciplinato il riassetto del sistema, indicando nel 30 giugno del 2022 il completamento della transizione, con l’introduzione dell’evoluta generazione digitale dello standard DVB-T2/HEVC. In base a tale indicazione, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha varato una specifica delibera, 39/19CONS, con il nuovo piano nazionale di assegnazione delle frequenze. Vasto programma, avrebbe detto il noto leader francese. Già, in Italia vergare piani delle frequenze in un campo minato da antiche illegalità mutuate dal Far Weste dalla concentrazione duopolistica (ancora Rai e Mediaset, perché qui Cristo si è fermato ai vari patti del Nazareno e il tempo non scorre) è un gioco estremamente pericoloso. Vent’anni fa, in esito del primo esemplare della serie, arrivò lesta la magistratura.
Per ciò che riguarda l’emittenza locale si prevede la dismissione delle frequenze secondo un arcigno calendario indicato da un apposito decreto del ministero dello sviluppo economico del 19 giugno 2019. Scorrono tre blocchi di regioni: dal 1° settembre fino al 31 dicembre 2021 Valle D’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, nonché le province autonome di Trento e Bolzano; tra il 1° gennaio e il 31 marzo 2022 Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Sardegna; tra il 1° aprile e il 20 giugno 2022 Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Abruzzo, Molise e Marche.
Tanto per cambiare, uno spezzatino incomprensibile è stato preferito ad unsimultaneo passaggio temporale. Si tratta di un vizietto italiano, figlio forse della voglia di prefigurare l’autonomia differenziata. Ed è un peccato reiterato, vista l’omologa scelta compiuta all’epoca dello switch off dall’analogico al digitale terrestre durato un triennio e conclusosolo nel 2012. Negli Stati uniti, ad esempio, il salto durò una notte.
Quindi, le stazioni locali, cui si deve la prima vera rivoluzione dell’etere a metà degli anni settanta del secolo scorso, si trovano in una terra di nessuno. Infatti, il ministero è fermo da molti mesi e non per caso la confindustria radio-tv e l’associazione Aeranti-Corallo (la più ampia e rappresentativa) hanno protestato con lettere e appelli al ministro Giorgetti.
Senza i bandi previsti dalla legge e in mancanza dell’attribuzione dei numeri del telecomando (strumento essenziale per cercare l’una o l’altra sigla), non è credibile procedere. I ritardi ministeriali rischiano di compromettere l’esistenza di un mondo che potrebbe essere annientato, con il napalm di Apcalypse Now, il tragico e metaforico film di Francis Ford Coppola.
Come ha saggiamente sottolineato il presidente di Aeranti-Corallo Rossignoli, che almeno la transizione sia uguale per le varie tipologie di soggetti, senza inutili e onerosi passaggi intermedi. Se si deve andare verso la generazione DVBT2-HEVC, il trasbordo ha da essere generale.
Va, poi, tutelata l’utenza, cui non è lecito addossare una soluzione tecnologica assai opinabile nell’età del satellite e della rete, finalizzata a sprigionare risorse per il demone telefonico dai mille tentacoli e dalle mille antenne. Fu abrogata nell’età dell’ex ministro Gasparri la norma prevista dalla legge 78 del 1999, che sanciva l’unicità del decoder atto a rendere visibile all’occhio umano il segnale. Stiamo parlando di software, non di pesanti oggetti meccanici. Basterebbe aggiornare la card, senza sottoporsi al costoso cambio degli apparecchi.
E perché non utilizzare uno dei decreti di passaggio in parlamento per mettere un po’ d’ordine democratico nel settore?