A distanza di oltre due mesi dall’inizio dello sciopero in Colombia, la comunità internazionale si è espressa su più fronti contro le violenze e gli abusi perpetrati ai danni della popolazione civile da parte del governo.
Il 17 giugno il Tribunale Permanente dei popoli, dopo una missione che si è svolta tra il 25 e il 27 marzo, ha emesso una sentenza di condanna nella quale denuncia l’impiego del terrore e del genocidio come strumento per procedere a una riorganizzazione sociale volta a distruggere una parte della popolazione colombiana.
La Commissione interamericana per i diritti umani, Organo autonomo dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), ha svolto una missione dall’8 al 10 giugno, a seguito della quale ha redatto un Rapporto, reso pubblico il 6 luglio, nel quale ha presentato una serie di osservazioni e raccomandazioni. In particolare la Cidh ha espresso preoccupazione per l’uso sproporzionato della forza da parte della polizia contro i manifestanti, per la diffusione della violenza di genere e razziale, e contro i giornalisti e chi denuncia le sparizioni forzate.
Al contempo, in Italia, il 30 giugno, l’Assemblea Capitolina di Roma Capitale ha approvato all’unanimità una mozione con la quale, oltre a esprimere solidarietà al popolo colombiano, chiede di sospendere gli accordi economici dell’Unione Europea con la Colombia finché i diritti della popolazione non verranno rispettati.
Oltre agli organismi istituzionali anche i cittadini colombiani hanno sentito la necessità di fare qualcosa a sostegno della popolazione in protesta ed è per tale ragione che è nata Tejidos Resilientes – Rete Umanitaria per la Colombia che ha come obiettivo quello di riunire i colombiani che vivono in Italia.
Quello che accade in Colombia si ripercuote sulle vite di tutti noi. Basti pensare a Mario Paciolla, il cooperante italiano che si trovava a San Vicente del Caguan per una missione delle Nazioni Unite volta alla verifica degli accordi di pace in Colombia e che è stato trovato morto il 15 luglio 2020, in circostanze che fanno escludere il suicidio.
Anche per rendergli omaggio, ad un anno dalla morte, i colombiani e le colombiane della Rete Umanitaria hanno lanciato un appello alla solidarietà internazionale per rompere il silenzio mediatico e fare arrivare in Colombia un sostegno fraterno ed umano e hanno organizzato una manifestazione il 17 luglio a Roma a piazza dell’Esquilino, proprio in prossimità del primo anniversario dell’omicidio che loro stessi hanno definito «impunito e oscuro».
Le pressioni sul governo Duque non riguardano solamente i problemi della gestione interna ma anche la politica estera. È stato ormai confermato che il commando di uomini che ha ucciso il presidente di Haití Jovenel Moïse fosse composto da ex militari colombiani che si trovavano nell’isola già da quattro mesi. Ma questa è un’altra storia.