L’intervista a Vincenzo Musacchio che il 19 luglio 1992 era un giovane laureato di ventiquattro anni e che oggi dà il contributo al ricordo di Paolo Borsellino negli Stati Uniti con gli studenti del corso “Criminal law and organized crime”. “Quest’anno ho voluto ricordare Paolo Borsellino assieme ai miei studenti americani ripercorrendo la strage di Via D’Amelio, ventinove anni fa. Sei morti: Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta, Emanuela Loi, Claudio Traina, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli e Agostino Catalano, purtroppo, ancora senza un vero colpevole”.
Quasi trent’anni dopo che cosa rimane all’Italia di Paolo Borsellino?
Resta il ricordo della sua onestà, della sua dedizione al lavoro e del suo alto senso dello Stato, quello vero e non la parte marcia e deviata che l’ha ucciso. Restano poche persone che cercano di portare il suo esempio e quello di tantissime altre vittime di mafia nelle scuole e nella società civile evitando che si parli di loro solo nelle ricorrenze e poi ritorni l’oblio.
A chi nel 1992 non era nato cosa racconta di Borsellino?
Per quel poco che ho potuto ascoltarlo racconto che era una persona umile e generosa. Nel luglio del 1991 venne in Abruzzo, lo ascoltai ed ebbi la fortuna di potergli stringere la mano. Parlò dei rapporti tra mafia e politica anticipando molti temi poi divenuti attuali. Assieme a Falcone erano davvero imbattibili nella lotta senza paura contro le mafie.
Ha un ricordo particolare di quell’incontro?
Mi rimasero impresse due dettagli: il primo, la sua stretta di mano molto forte che concesse a tutti i partecipanti al convegno che erano andati a salutarlo e il secondo che in quell’occasione accese tantissime sigarette, a volte ne accendeva una con quella che stava per finire. Ricordo gli feci una domanda specifica: “Dottor Borsellino lei teme per la sua vita?”. La sua risposta seguita quasi da un ghigno fu la seguente: “Sì. Temo per la mia vita e soprattutto per quella delle persone a me vicine, dai miei familiari agli uomini della mia scorta. So che la mafia vuole la mia morte come quella del mio fraterno amico Giovanni Falcone ma penso che se moriremo non sarà solo per volere della mafia ma per una serie di concause che vanno dal nostro isolamento fino alla complicità delle istituzioni colluse e corrotte”. Vi fu un lungo silenzio, la mia fu l’ultima domanda.
A quel tempo secondo lei Borsellino sapeva di essere in pericolo?
Certamente sì. Era consapevole che lui e Falcone erano già stati condannati a morte e che la sentenza sarebbe arrivata molto presto.
Lei il 19 luglio che cosa fa?
Ogni 19 luglio e ogni 23 maggio mantengo fede a una delle tante promesse che feci al mio maestro Antonino Caponnetto e cioè cerco di far in modo che il ricordo delle vittime di mafia non svanisca mai. Il 19 luglio e il 23 maggio non sono solo un ricordo, per me, sono uno stimolo per rammentare il loro sacrificio ogni giorno.
Cosa racconta ai suoi figli quando parla di queste personalità?
Ho una sola figlia di undici anni e le racconto ben poco perché da piccolina mi ha sempre seguito nei miei incontri quindi conosce la storia delle vittime di mafia e me ne parla a volte quando sente qualche notizia sulla criminalità organizzata. Questo mi fa ben sperare soprattutto quando mi dice che vuole fare il commissario di polizia o la giornalista perché colpita dalle figure di Ninni Cassarà e di Mauro De Mauro. Quando scrissi il libro “Angeli contro le mafie” lo lesse tutto in meno di un’ora.
Ci lascia con un messaggio di speranza?
Certamente. Lo lancio proprio a voi giovani. Abbiate non solo speranze ma soprattutto consapevolezza e determinazione in voi stessi, nel fare, nell’agire, nell’essere protagonisti del vostro destino. Il grande valore della libertà della persona deve essere il perno centrale della vostra convivenza civile bilanciato con gli altri diritti e adeguato al variare della situazione concreta ma sempre nel rispetto delle regole democratiche e pluralistiche che presidiano la nostra Costituzione. Caponnetto mi diceva sempre: “L’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa”. Perciò vi dico: studiate, studiate, studiate!
Vincenzo Musacchio, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA), oltre ad essere ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera, il giurista è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia nella seconda metà degli anni ’80.