Saman e le altre, quando voler essere libere è una condanna a morte

0 0

Fino ad oggi scrivere di Saman Abbas sarebbe stato un improvvido e sterile atto di sciacallaggio mediatico.
La rincorsa al dettaglio macabro, al racconto della famiglia islamica disumana, lasciando ai margini la storia di questa dolce e vitale diciottenne pakistana che aveva solo ansia di vivere.
Saman e stata uccisa, ormai non ci sono più dubbi, perchè non voleva accettare il matrimonio combinato dai suoi parenti ma la sua non è la ‘solita’ storia della donna sottomessa nell’Islam.
La religione in questo caso non è il fulcro della questione.
Lo è, invece, la cultura retrograda, la mentalità arcaica di uomini e donne che in Saman non vedevano più una persona cara, ma un nemico della loro cupola di protezione, una improbabile zona comfort di tradizioni e obblighi familiari tramandati da padre in figlio che Saman voleva abbattere.
La vicenda di questa giovane senza colpe ha suscitato grande indignazione eppure ha lasciato tanti indifferenti.
E la maggior parte di chi è intervenuto lo ha fatto per sottolineare quanto intollerabile sia che in Italia e in Europa accadano queste cose. Nulla di più.
Ciò che più ripugna è il silenzio di alcune voci che solitamente si levano alte per denunciare e condannare atti di femminicidio di donne italiane.
La condanna delle violenze contro giovani e meno giovani, mogli, fidanzate, figlie, non può essere ‘intermittente’.
Non possono esserci vittime di serie A e di serie B.
Centinaia di donne muoiono ogni anno uccise perché hanno detto semplicemente dei ‘no’.
In un mondo ideale, sarebbe auspicabile che gli uomini che quei ‘no’ li accettano, e vanno avanti lasciando in pace le loro ex compagne, fossero ancora più arrabbiati di noi donne.
Che nessun uomo accettasse che le proprie figlie, sorelle e mamme siano trattate in quel modo.
Non si tratta di noi contro gli uomini, si tratta della nostra società, della nostra vita, della nostra libertà. Soprattutto al sud dove ancora resistono sacche di pensiero retrogrado, dove la donna non ha ancora pieni diritti.
Per questo sento il bisogno, a fronte di un fenomeno che sta sotto il pelo dell’acqua e che non riguarda solo la cultura islamica, perché generalizzare crea stereotipi pericolosi, di lanciare un appello a denunciare al primo cenno di violenza.
Su quanto successo a Saman sono emersi elementi terribili che accomunano i drammi di altre donne che nel nostro paese cercano di essere indipendenti e autonome.
A Saman è stata negata quella libertà che aveva appena assaporato uccidendola, come accade a tante donne che provano a sottrarsi a matrimoni e legami tossici.
L’unico modo per evitare una fine tragica a queste vittime predestinate è che le comunità intorno a loro non restino indifferenti, che denuncino questi casi prima che sia troppo tardi.
Denunciare e sostenere le tante donne che vogliono essere nient’altro che ‘persone libere’ è il solo modo per salvarle.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21