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Pesaro film fest 2021. Intervista a Björn Andrésen: il Tadzio di “Morte a Venezia” torna in un film biografico

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E’ stato presentato alla Mostra del nuovo cinema di Pesaro “The beautiful boy in the world” documentario sulla vita di Björn Andrésen, attore nato a Stoccolma nel 1955, divenuto famoso per il ruolo del quattordicenne Tadzio nel film di Luchino Visconti del 1971, “Morte a Venezia”. Era stato scelto per la perfezione fisica ed è diventato un’icona immortale, ma quel film lo ha “perseguitato”,  dichiara Andrésen, soprattutto dopo la presentazione a Cannes, durante la quale Luchino Visconti lo ha portato in un gay bar, dove ha subito le attenzioni non desiderate dei suoi avventori.  Andresén, che si è sempre dichiarato etero e ha avuto moglie e figli, ha sofferto di essere confuso per omosessuale in seguito a “Morte a Venezia”. A 66 anni Björn Andrésen  dal vivo è più affascinante che sullo schermo, non ha perso l’aspetto stilizzato ed è un tipo, quasi una rockstar con lunghi capelli cenere e un sorriso intenso e triste. “The beautiful boy in the world”, sarà presto in sala grazie a Wanted Cinema. Intanto lui si racconta in questa intervista, a tratti sconvolgente:

In “Morte a Venezia” lei è stato Tdazio, simbolo di perfezione estetica. Che effetto le ha fatto essere definito da Visconti “il ragazzo più bello del mondo”?

Teoricamente potrebbe far piacere ma mi ha fatto provare anche tanta solitudine. Tornando da Londra, a sedici anni, sono rientrato in classe e mi sono sentito deridere dai compagni che mi chiamavano “labbra d’angelo”…  non è facile … solo con il tempo si raggiunge la maturità per accettare certe cose.

Cosa l’ha spinto ad acconsentire  a una sua biografia, a un film intimo qual’ è “The beautiful boy in the world”?

Conosco il regista Kristian Petri dagli anni 80. Siamo amici, insieme siamo andati al pub. Pensavo facesse un cortometraggio breve da trasmettere in qualche Tv. Ma il film è cresciuto al di là delle mie aspettative,  anche grazie alla fiducia che io ho in lui.

Dopo essere stato protagonista del documentario di Kristian Petri e Kristina Lindström, in lei è mutata la percezione del vissuto di “Morte a Venezia”?

In una certa misura sì, il documentario sulla mia vita mi ha aiutato a venire a patti con quell’esperienza.  Anche se restano insolute cose personali, per le quali non c’è possibilità di condivisione. Nel ruolo di Tdazio non ho mai avuto problemi, sono state le conseguenze sul piano sociale, dopo il film, a creare disagio.  A parte il set, del quale ho un ricordo divertente: le serate in giro con gli amici, i postumi delle nostre sbornie  che, se ci fate attenzione, trapelano anche sullo schermo …  beh! tutto il resto mi torna in mente con tristezza. Ed è accaduto in seguito alla presentazione a Cannes, con il suo circo mediatico. “Morte a Venezia” mi ha perseguitato tutta la vita.

Ha avuto in sorte di diventare un’icona immortale. Il successo planetario non è abbastanza per essere felici? Se la risposta è no, quali sono le basi per avvicinarsi alla felicità?

Mi ha preso per un guru?  (Ride)…  La risposta alla prima domanda è un convincente no. Quello  che rende un po’ felice è il successo che si ottiene in prima persona, per un’attività che si è svolta. Io sono un musicista, non mi sono mai considerato un attore. Recitare mi piace, è divertente. Ma  personalmente mi sento un musicista, la musica è la mia espressione.  Ai giovani che ambiscono  a diventare famosi, consiglio di non inseguire la notorietà, a meno che non nasca da un talento di tipo personale. Io ho avuto un successo planetario per qualcosa che qualcun altro ha fatto, eppure mi trovo qui: una situazione bizzarra e tutt’altro che appagante. Sarei più felice se avessi contribuito alla scrittura di una sceneggiatura.

Come è passato dalla musica al cinema?

Per merito della nonna che rispondeva a tutte le inserzioni che cercavano ragazzini che suonassero il piano. Così mi sono trovato in televisione a sette anni. Tra queste inserzioni sono arrivate anche quelle per i provini cinematografici. Lei mi diceva di andare e io da bambino obbediente andavo. Un anno prima di “Morte a Venezia” ho partecipato a un film svedese  (per inciso il film di cui Andresén parla era diretto da Roy Andersson, Leone d’oro a Venezia nel 2014) la mia scheda è rimasta negli archivi delle società di produzione e da lì è giunta sino a Visconti.

Lei adesso suona in una band?

Con degli amici mi capita di suonare, ma nessuno lo fa professionalmente con me perché mi considerano un attore.

Com’era Silvana Mangano?

Era estremamente dolce. Ricordo che alla presentazione del film a Londra ho dovuto trascinarla, perché era bianca come un cencio per la paura …

Con gli occhi dei suoi quindici anni, con quali aggettivi descriverebbe Luchino Visconti , non dal punto di vista professionale  ma umano?

Un uomo riverito, incuteva una grande soggezione, era duro quasi feroce. Un giorno un tecnico è passato per sbaglio davanti alla macchina da presa, Visconti ha urlato forte ed è sceso un silenzio che avrebbe fatto sentire la caduta di uno spillo…


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