Compie trent’anni Patrick Zaki e, a quanto pare, la strategia diplomatica scelta dal governo italiano è il silenzio, onde evitare che l’Egitto, ossia un regime dittatoriale sanguinario e disumano, si irrigidisca ancora di più. Può darsi che abbiano ragione loro, che alla Farnesina abbiano effettuato tutti i controlli del caso e preso tutte le precauzioni necessarie; può darsi che non si possa e non si debba fare di più, fatto sta che un ragazzo che studiava regolarmente in Italia è rinchiuso da quasi un anno e mezzo in un carcere egiziano e si è ben capito che per lui il tiranno al-Sisi ha previsto il fine pena mai. Al che vien da domandarsi: ma davvero l’Italia può farsi prendere in giro in questo modo? Davvero possiamo accettare di veder screditare l’immagine di Giulio Regeni, sulla cui fine la verità è nota a tutti, anche se ufficialmente non si può dire, e assistere con le mani in mano alla lenta morte di uno studente, reo di non avere in simpatia una dittatura scandalosa? Davvero il petrolio, gli affari, i traffici commerciali e altre questioni pur vitali per qualunque paese, e più che mai per una terra di frontiera come la nostra, possono prevalere su ogni altra considerazione? Davvero i diritti umani non contano più nulla? Perché ciò che sfugge al governo italiano, da anni, è che un paese che si riduce a macchietta, che accetta tutto che subisce ogni sopruso senza battere ciglio, che rimanda l’ambasciatore al Cairo il giorno di Ferragosto, che si piega a qualunque richiesta e impone il silenzio per non disturbare un generale golpista, evidentemente “necessario” al pari di Erdoğan, un paese in queste condizioni non ha più alcuna credibilità. E dopo Regeni è toccato a Zaki, e dopo Zaki toccherà a qualcun altro, ben sapendo che tanto non alzeremo la voce, non richiameremo l’ambasciatore, non compiremo alcuna azione forte e lasceremo che un ragazzo rimanga senza giustizia e un suo coetaneo si spenga lentamente in prigione, costretto a dormire sul pavimento e a rischiare la vita quotidianamente a causa del Covid, senza alcuna precauzione.
Nel giorno in cui Patrick compie trent’anni, bisogna avere il coraggio di affermare che sta andando in scena una condanna a morte differita e che, come detto, un’Italia che assiste inerte a tutto questo è una nazione priva della benché minima credibilità, esposta a ogni tempesta e condannata alla nullità internazionale, assai più che per via del suo elevato debito pubblico e della sua crescita asfittica.
Non potendo contare sulla politica e, a voler essere sinceri, neanche su larga parte dell’informazione, ci auguriamo che gli Azzurri di Mancini decidano di festeggiare almeno un gol esibendo una maglietta in cui si chieda espressamente la liberazione di Zaki, affinché l’attenzione del grande pubblico non si spenga, la pressione si alimenti, un minimo di passione civile si risvegli e l’Egitto sia costretto a fare i conti con lo scempio che sta compiendo da anni. Certo, è triste doversi affidare sempre a dei testimonial, non essendo più in grado di produrre buona politica, grandi intellettuali, un giornalismo al servizio della collettività e nulla di ciò di cui avremmo bisogno per tornare a essere apprezzati e rispettati nel mondo.
Auguri Patrick, e scusaci per la nostra ignavia.
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